Alternativa inefficienteL’idrogeno verde è ancora una difficile alternativa

I costi di produzione ancora troppo alti, soprattutto se confrontati con quelli del gas naturale, per cui al momento non rappresenta un’opzione reale per la decarbonizzazione delle industrie

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 61 di We – World Energy, il magazine di Eni

Trasformare la materia della natura in cose utili è l’inizio della storia dell’uomo, fin dalla scoperta del fuoco, quando bruciava legna per fare luce, per scaldare, per cucinare, per difendersi dagli animali. Quella trasformazione chimica del combustibile, nel tempo, è diventata più sofisticata per estrarre metalli, per cuocere le argille e per fare il vetro. La scoperta del fuoco si fa risalire a circa due milioni di anni fa, mentre l’età del bronzo, a solo cinquemila anni fa. Da allora la storia umana è cambiata e l’accelerazione delle rivoluzioni tecnologiche e sociali ci ha portato all’attuale modernità, dove consumiamo enormi quantità di energia per soddisfare una popolazione mondiale che non è mai stata così numerosa, passata da meno di centomila persone quando scoprimmo il fuoco, ai dieci milioni dell’età del bronzo, agli attuali otto miliardi. È una civiltà umana costruita su strutture materiali modellate usando tanta energia, oggi in maniera più sofisticata, ma nella sostanza si tratta sempre di bruciare combustibili per fare calore e cambiare lo stato della materia.

I settori energivori
Il caso tipico è quello dei metalli, presenti nei minerali che ricoprono la superficie della terra, a volte in abbondanza, altre volte dispersi, che vengono separati dall’ossigeno e dalla roccia, bruciata con l’aiuto del carbone fino a diventare come la lava. Il vetro, fatto con la sabbia portata anch’essa a sciogliersi ad una temperatura superiore ai 1500 gradi. Il cemento, che impiega calcare e argilla, la ceramica che brucia argilla, la carta, che impasta il legno ad alta temperatura. Sono i materiali che abbiamo imparato a fare, inizialmente in maniera rudimentale, ma le tecniche, e le qualità, sono migliorate grazie ai combustibili fossili, al carbone, al petrolio e al gas.

Il ferro, fra i metalli, è di nuovo un caso esemplare, con il passaggio dalla semplice ghisa, un ferro di bassa qualità, che non resisteva né alle temperature né alle pressioni, all’acciaio, sempre ferro, ma raffinato con meno ossigeno e più carbonio. Lo sviluppo dell’acciaio ha permesso la realizzazione di tubi che resistevano maggiormente alla pressione e ha consentito di perforare gli affioramenti di petrolio per accedere alle abbondanti riserve intrappolate a profondità una volta irraggiungibili. L’abbondanza di energia da fossili ha permesso di fare la rivoluzione della chimica e della petrolchimica, per fare i fertilizzanti che, assieme al motore a combustione interna, e alla benzina, hanno fatto esplodere il rendimento agricolo con più cibo per miliardi di persone che vivono sulla terra.

Cemento, chimica, carta, vetro, ceramica sono i settori che per fare prodotti sempre più sofisticati consumano tantissima energia, perlopiù fossile. Si tratta di carbone, usato a man bassa nella produzione di acciaio per ossidare ed estrarre dal minerale il ferro, oppure bruciare il calcare per ottenere il cemento. Il gas naturale si impiega nella produzione di ceramica, vetro, e carta. Sono i settori dove l’abbandono dei fossili, per tagliare le emissioni di CO2, appare più difficile, detti appunto difficili da abbattere, hard to abate.

La suggestione dell’idrogeno verde
Sostituire gas e carbone, con cosa? L’idrogeno, ovviamente, quello verde, prodotto dall’elettrolisi dell’acqua, per separarlo dall’ossigeno, ma solo usando elettricità fatta con le fonti rinnovabili. È difficile resistere alla suggestione dell’idrogeno verde per la politica europea che aspira alla leadership della transizione verde, della totale decarbonizzazione dell’economia, con l’encomiabile obiettivo di dare l’esempio e di fare grande innovazione da esportare al resto del mondo come, del resto, fatto in passato con la prima e seconda rivoluzione industriale.

I problemi, tuttavia, si stanno dimostrando giganteschi, perché produrre idrogeno verde dall’acqua con elettricità da rinnovabili è complicatissimo, non solo in Europa, ma anche nel resto del mondo. Il trasporto e lo stoccaggio dell’idrogeno richiedono materiali che sono di difficile reperimento. Produrre elettricità rinnovabile in Europa, dopo decenni di crescita e di sussidi, costa attualmente fra i cinquanta e i cento € per megawattora (MWh), range molto ampio che dipende dalle condizioni fisiche di partenza, legate all’irradiazione solare o alla velocità del vento, ma anche al grado di opposizione delle popolazioni locali, alla possibilità di fare grandi impianti, per ottenere economie di scala.

Negli ultimi anni la soglia più bassa è stata abbandonata, causa aumenti dei costi delle materie prima, ma anche partendo da cinquanta € con un MWh di elettricità verde si possono fare 0,6 MWh di idrogeno e ciò significa che solo per l’elettricità i costi sono di ottantatré €/MWh. Vanno poi aggiunti i costi degli elettrolizzatori, le macchine attraverso cui, in base a una fisica della materia insegnata fin dalle scuole elementari, l’acqua distillata viene separata in ossigeno e in idrogeno. Tali costi, che certamente stanno scendendo, sono di altri cinquanta €/MWh, ma con molte incertezze, tutte al rialzo. Ma servono anche i sistemi di stoccaggio, fatti con materiali particolari, metalli che resistano all’aggressività dell’idrogeno, perché la sua molecola è la più piccola nell’universo e tende a introdursi in tutte le altre. Poi c’è bisogno di tanta acqua, dove l’idrogeno è intrappolato.

Per ogni chilo di idrogeno servono almeno dieci litri di acqua, dieci chili, peraltro di ottima qualità, da distillare facilmente. Spesso dove c’è molta energia da fonte rinnovabile, in particolare solare, non c’è l’acqua; spesso, quando c’è, è quella del mare, che deve essere dissalata con un enorme consumo di energia. Sommando tutte queste componenti si arriva facilmente a costi dell’idrogeno verde prossimi ai centottanta-duecento €/MWh. Tuttavia, i primi progetti sperimentali in Europa hanno dovuto sostenere costi di molto superiori fino a quattrocento €/MWh e questo spiega perché, a 5 anni dall’insediamento della Commissione del Green Deal nel 2019, gli impianti che producono idrogeno verde sono inesistenti come, ovviamente, gli impianti industriali che dovevano usarlo. Con il paradosso di tante industrie che definiscono i loro impianti come “pronti a usare idrogeno”, hydrogen ready, in attesa che un giorno arrivi questa panacea dell’idrogeno.

Costi a confronto
Il costo dell’idrogeno deve essere confrontato con il prezzo del combustibile più diffuso nella produzione dei materiali nei settori hard to abate, ovvero il gas naturale. Il prezzo del gas sul mercato europeo, il più caro al livello globale, a metà 2024 è a trentacinque €/MWh, mentre negli Stati Uniti si attesta sui 9 €/MWh. I costi di produzione in tutto il mondo oscillano fra i cinque e dieci €/MWh, con enormi riserve disponibili ancora da scoprire e sviluppare. Il carbone, usato per l’acciaio e per il cemento, ha prezzi, raddoppiati negli ultimi anni, che non arrivano a quindici €/MWh.

Ovviamente, i costi dell’idrogeno verde per sostituire i fossili sono ancora troppo alti, ma se dobbiamo salvare il pianeta ed eliminare le emissioni di CO2, allora i maggiori oneri andrebbero pagati da chi consuma i prodotti finali. Una tonnellata di acciaio primario potrebbe avere costi che raddoppiano da settecento a millequattrocento € per tonnellata, 0,7 € per chilo in più. Sul prezzo finale della pentola fatta con un acciaio più verde, che prima costava venti €, il maggiore costo sarebbe di un euro che, a conti fatti, non è un grande sacrificio per salvare il pianeta. Tuttavia, con i buoni auspici, con le tariffe e le tasse non si sono mai fatte le rivoluzioni tecnologiche, figuriamoci quella di rompere il legame fra materia, modernità e combustibili fossili.

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