Come volevasi dimostrare, l’Aventino del Partito democratico sul consiglio di amministrazione Rai è stata una scelta sbagliata: il primo effetto concreto è che Mario Orfeo lascia il Tg3 per approdare alla direzione di Repubblica, dove anche lì ci saranno mutamenti nella linea editoriale, probabilmente non a favore del Nazareno, mentre al Tg3 storicamente vicino alla sinistra potrebbe arrivare un uomo di Giuseppe Conte, che ha fatto un accordo con la destra, cioè Giuseppe Carboni o Senio Bonini. Tutto questo ha evidentemente a che fare con il colpo di testa dell’avvocato che ha mandato i frantumi il campo largo, un’intemerata avvenuta successivamente proprio al dissenso sul cda Rai.
Ora, il silenzio dell’innocente Elly Schlein rischia di diventare persino un fatto non democratico, visto che la democrazia e la politica vivono di risposte ai problemi e circolazione di idee. La scelta di non commentare, come si dice nel linguaggio degli uffici stampa, è dettata o dall’imbarazzo o dal non sapere cosa dire o da tutt’e due le cose insieme.
In certi casi, ci può anche stare, ma non può diventare un’abitudine: troppo facile nascondersi dietro il no comment quando fuori ci sono le magagne, è da queste cose che si vede la forza, o la debolezza, di una leader. In certi momenti ci vuole la schiena dritta, non necessariamente alzando la voce, basta che la postura sia dignitosa; un grande partito non può accettare qualsiasi cosa con questo atteggiamento da San Sebastiano trafitto da tutte le parti. Il vittimismo alla lunga stanca. Un po’ di cazzimma ci vuole.
Il silenzio condito dall’inazione è persino una pratica non rispettosa di quei militanti ed elettori che hanno tutto il diritto di sapere cosa pensi la segretaria del Pd (è ovvio che ci si sta riferendo alla rottura di “Conte the killer”) che non è Enrico Berlinguer che parlava quattro volte in un anno, lei parla sempre ma non dei problemi del suo partito.
Dunque si avrebbe curiosità di sapere cosa la segretaria del Pd intenda fare di fronte al fatto che una strategia, giusta o sbagliata che fosse, e la retorica che sin qui l’ha evocata («testardamente unitaria» nel volere il campo largo) è fallita, non c’è più, come ha scritto, da fine politologo, Marco Travaglio: «Il feuilleton (cioè il campo largo-ndr) ha stracotto gli zebedei».
La linea dettata dal direttore del Fatto all’avvocato («È il caso di darci un taglio. I leader di opposizione si parlino e si diano appuntamento al 2027») sta rimettendo in pista la destra alle Regionali, cosa di cui a Travaglio non frega niente ma che a Elly Schlein dovrebbe preoccupare e infatti Andrea Orlando, Michele De Pascale e Stefania Proietti (autodefinitasi «discepola di Marco Tarquinio», sic) comprensibilmente stanno schifando quello che si sta combinando a Roma ed è chiaro che se dovessero perdere rispettivamente in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria sarà solo colpa di Roma.
Però il Pd fischietta. Schlein preferisce parlare dei temi, anche se non esiste un solo tema sul quale l’opposizione sia tutta d’accordo. Ma tanto il Pd non polemizza, non risponde, fa finta di niente, incassa, finge di essere morto. Finge?