Hanno tutte indossato qualcosa di colore viola. T-shirt, orecchini, sciarpe, un abito tradizionale nigeriano – il bubu – e anche la decorazione per la fronte delle donne indiane – il bindi – che di solito è di colore rosso. In questo modo, alla Cop29 di Baku hanno deciso di distinguersi le persone che fanno parte della “Women and gender constituency” (Wgc), l’insieme delle associazioni che si occupano di questioni di genere e che sono una delle reti riconosciute dalle Nazioni come osservatrici (observer) alle conferenze annuali sul cambiamento climatico.
Attraverso il collettivo, ong, attiviste e ricercatrici cercano di indirizzare i negoziati verso risultati che tengano conto della sovrapposizione tra riscaldamento globale e dinamiche di genere, ma le aspettative a metà del vertice in Azerbaijan – anche su questo fronte – sono ormai a ribasso.
A dieci anni di distanza dal primo importante accordo sul tema, il Lima work programme on gender (Lwpg) – programma del 2014 per l’integrazione della prospettiva di genere nelle politiche e nelle azioni climatiche globali –, a questa Cop si dovrebbe stabilire il quadro per un nuovo ciclo di politiche di genere all’interno della cornice delle azioni per il clima.
Tuttavia, all’inizio della seconda e ultima settimana di negoziato, la bozza del testo “Gender and climate” – come sta accadendo per quella sulla finanza climatica – ha ancora molti nodi da sciogliere.
A raccontare a Linkiesta come sta procedendo il lavoro delle delegazioni su questa bozza è Erika Moranduzzo, coordinatrice clima e diritti di Italian climate network (Icn). «I punti di frattura tra le Parti sono quelli che nella bozza di testo sono riportati tra parentesi e, per adesso, riguardano i diritti umani e l’uso delle parole “intersezionalità” e “genere”».
A metà del negoziato, il testo è lungo sei pagine e contiene centodiciotto parentesi (brackets nel linguaggio Onu). «Diversi Paesi arabi, capofila l’Arabia Saudita, propongono di usare i termini “sex” o addirittura “boys and girls” al posto di “gender”», continua Moranduzzo.
La constituency del mondo dell’attivismo femminista ha espresso preoccupazione sulla bozza. La settimana scorsa il testo aveva fatto molto discutere perché era stato messo tra parentesi – come fosse un tema negoziabile – anche un riferimento alla necessità di prevenire la violenza di genere nello sviluppo di ogni politica per il clima.
Per inquadrare il contesto di discussione: l’Iran ha più volte sottolineato che la bozza, nella sua interezza, rischia di essere in contrasto con l’ordinamento giuridico del Paese. Invece, Unione europea, Messico, Brasile e Australia hanno più volte sottolineato che su certi temi il linguaggio in Cop può solo progredire e non certo tornare indietro.
La ventinovesima conferenza Onu sul clima, però, non era cominciata bene neanche sul fronte della parità di genere. Inizialmente, la presidenza azera aveva istituito una commissione organizzativa composta da soli uomini, poi modificata in fretta e furia. Poi, a due giorni dall’avvio del vertice, nella foto di rito dei capi di Stato e di governo rappresentanti i Paesi del negoziato, le donne ritratte erano state solo otto.
«È importante che gli attori della Cop della finanza abbiano chiaro l’obiettivo di dover trovare accordi che non vadano solo a beneficio del quarantanove per cento della popolazione mondiale», afferma Ilaria Ghaleb, ambasciatrice del Patto europeo per il clima presso la Commissione europea e consulente nell’ambito dell’intersezione tra cambiamenti climatici e questioni di genere.
«Tra gli obiettivi del protocollo di Lima – continua Ghaleb – c’era proprio quello di incoraggiare Paesi e istituzioni finanziarie a garantire fondi per esigenze e progetti mirati all’empowerment femminile, con un focus sui Paesi in via di sviluppo». L’occasione sembrava giusta a Baku. Il negoziato in Azerbaijan ha come mandato principale un’intesa sulle risorse economiche per la transizione degli Stati più vulnerabili al riscaldamento globale.