Numerologia di Cop29: il valore di 1,3 mila miliardi di dollari sarebbe solo simbolico. La cifra fattuale dovrebbe essere quella da duecentocinquanta miliardi di dollari, portafoglio annuale per l’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo.
La ventinovesima conferenza Onu sul cambiamento climatico avrebbe dovuto concludersi nel primo pomeriggio di venerdì 22 novembre, ma i negoziati di Baku sono ancora in corso.
La bozza del testo che sta cristallizzando questo vertice è quella relativa al nuovo obiettivo finanziario globale (New collective quantified goal, Ncqg): quanti soldi versare, a che condizioni e da parte di chi. La voce che circola tra delegati, osservatori e media è che la presidenza azera abbia fatto circolare – nel pomeriggio – una proposta poco ambiziosa per valutare le reazioni delle parti.
Reazioni che non hanno tardato ad arrivare. I numeri messi sul piatto sono inaccettabili per molti dei gruppi dei Paesi in via di sviluppo. Il primo a comparire nella bozza è il trilione chiesto dalle Nazioni emergenti. Nel testo provvisorio, al paragrafo sette, si legge che l’accordo «invita tutti gli attori a lavorare insieme per consentire l’aumento dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per l’azione climatica, da tutte le fonti pubbliche e private, ad almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035».
L’obiettivo è troppo vago per essere realisticamente realizzato, anche perché chiamare in causa tutti è come non chiamare nessuno. Lo stesso verbo «invita» non impone alcun vincolo.
La bilancia del realismo pende, dunque, verso il secondo numero citato nella bozza. Al paragrafo otto si «decide che i Paesi sviluppati assumono la guida dell’estensione dell’obiettivo» dei cento miliardi di dollari stabiliti nell’accordo di Parigi contribuendo con «duecentocinquanta miliardi di dollari all’anno entro il 2035» per l’azione climatica delle Nazioni emergenti.
Duecentocinquanta miliardi da mobilitare, peraltro, attraverso un’ampia varietà di fonti: pubbliche, private, bilaterali, multilaterali e anche alternative. Inclusività finanziaria che lascia scontenti i Paesi più poveri che per non aggravare il loro debito chiedono contributi a fondo perduto, erogabili solo dagli Stati e non dagli istituti di credito privati.
Duecentocinquanta miliardi da spendere per azioni di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. I soldi per i risarcimenti dei danni e delle perdite causati dagli eventi meteorologici estremi aggravati dal riscaldamento globale, però, non ci sono.
Nella bozza compare anche un paragrafo da ribattezzare dimmi che stai pensando alla Cina senza dirmi che stai pensando alla Cina: la Repubblica popolare, ma anche l’Arabia Saudita e altri petrolstati sono invitati a contribuire volontariamente all’obiettivo finanziario globale.