Nei soli primi sette mesi del 2024 l’Italia ha importato circa 1,5 miliardi di chili di grano straniero per produrre la pasta. Strano ma vero. Ci consideriamo – sbagliando – il Paese che ha inventato gli spaghetti, ma non abbiamo la forza per produrre il grano duro necessario a far fronte ai consumi interni. Per raggiungere una maggiore autonomia, Filiera Italia si è fatta promotrice del progetto Filiera Pasta. Obiettivo: tutelare l’intero settore italiano della pasta e valorizzare la sua distintività nel mercato nazionale e mondiale attraverso la tracciabilità lungo tutta la filiera.
I numeri della pasta in Italia
Ogni anno consumiamo 23,3 chilogrammi pro capite annui, per un consumo totale nazionale di oltre 1,7 milioni di tonnellate. Nel 2023, il consumo globale di pasta ha toccato quota 14 milioni di tonnellate. L’Italia, leader mondiale nella produzione, ne immette sul mercato quasi quattro milioni di tonnellate prodotte annualmente, con un fatturato che supera gli otto miliardi di euro. Di queste, oltre il 56 per cento viene esportato, diffondendo i prodotti di qualità del nostro Paese a livello internazionale (dati Unione Italiana Food, 2024). Il grano utilizzato dai pastifici italiani proviene per quasi un terzo da Turchia e Kazakistan.
«Pur essendo il primo produttore di pasta al mondo, dipendiamo dalle importazioni di grano per il fabbisogno nazionale – spiega Luigi Scordamaglia, amministratore delegato Filiera Italia. Se da un lato nel settore alimentare è inevitabile fare ricorso alle importazioni per sostenere l’export alimentare, che raggiungerà quest’anno settanta miliardi di euro, dall’altro è necessario assicurare che il grano importato rispetti gli standard qualitativi italiani. Un caso emblematico è quello della Turchia, divenuta esportatrice di grano duro anche grazie a triangolazioni opache con la Russia, nonostante una produzione nazionale insufficiente».
Il progetto Filiera Pasta
Per difendere tutti gli attori in campo per creare spaghetti & co. arriva Filiera Pasta. «Si tratta di un’organizzazione nata all’interno di Filiera Italia, un’iniziativa che riunisce la produzione agricola di Coldiretti, 110 eccellenze dell’industria alimentare italiana e alcuni tra i principali produttori. Lo scopo è rappresentare chi vede il futuro della pasta italiana in un modello competitivo basato su qualità, sostenibilità e distintività. L’obiettivo è posizionarsi su standard elevati e unici, senza cedere alla delocalizzazione verso mercati a basso costo».
Per farlo, Filiera Pasta mira a valorizzare il settore, garantendo la tracciabilità lungo tutta la filiera, promuovendo le tradizioni e la sua distintività nel mercato nazionale e mondiale. «Vogliamo salvaguardare e valorizzare l’arte della produzione della pasta italiana, creando una rete tra i produttori di qualità e artigianali per esaltare l’unicità di questo prodotto».
Dal campo al piatto: il caso Granoro
Grazie agli accordi tra agricoltori e pastifici, il progetto vuole rafforzare la produzione di grano italiano, incentivando contratti di filiera e accordi di lungo termine per offrire stabilità e prospettive solide agli agricoltori. «È inoltre fondamentale garantire una giusta ripartizione del valore lungo tutta la filiera, con particolare attenzione alla distribuzione del valore aggiunto che va riconosciuto adeguatamente anche ai produttori agricoli, evitando dinamiche sbilanciate nei rapporti con la grande distribuzione».
Pionieri degli accordi di filiera, anche il Pastificio Granoro ha aderito a Filiera Pasta. Come spiega Marina Mastromauro, amministratore delegato dell’azienda pugliese, «per il Pastificio Granoro l’adesione a Filiera Pasta è un passaggio doveroso e naturale, che sposa in pieno la scelta dell’azienda a puntare sui contratti di filiera per la produzione di pasta di qualità con grano cento per cento italiano». Sin dal 2010, l’azienda di Corato (Bari) ha intrapreso il progetto “Dedicato”, un percorso di aggregazione che ha coinvolto il settore primario aggregando oltre 350 aziende agricole che producono circa 25.000 tonnellate di grano duro di qualità totalmente ottenuto in Puglia, da cui si ottengono circa 13.000 tonnellate di pasta all’anno.
Educare il consumatore
Il progetto punta anche a contrastare le pratiche commerciali sleali che minacciano la sostenibilità del settore, offrendo ai consumatori la possibilità di riconoscere l’origine e la qualità distintiva dei prodotti attraverso una trasparenza completa. «Educare il consumatore diventa un ulteriore obiettivo prioritario, affinché possa apprezzare e riconoscere il valore della pasta premium e artigianale, comprendendo i processi produttivi e il lavoro di tutta la filiera che concorrono alla qualità del prodotto finale».
«Altro aspetto centrale è la netta differenziazione tra la pasta premium e artigianale prodotta in Italia, frutto delle specificità dei singoli pastifici artigianali, e quella ottenuta tramite processi industriali con standard al ribasso, spesso venduta a prezzi molto inferiori. In più, si lavora anche per combattere l’omologazione e il fenomeno dell’italian sounding, aspetti che penalizzano la pasta autentica italiana. Infine, il progetto mira a stimolare nuovi percorsi di ricerca e sviluppo per accrescere la produzione di grano nazionale, guardando al futuro e alla sostenibilità della filiera nel lungo termine».
Il nuovo ruolo degli intermediari
Valorizzare il made in Italy formato pasta passa anche per un fattore cruciale nel commercio agroalimentare: gli intermediari. Secondo Scordamaglia «l’intermediazione “buona” è rappresentata da modelli come Consorzi Agrari d’Italia (Cai), che operano a livello nazionale, supportando gli agricoltori con lo stoccaggio dei prodotti e garantendo massa critica e qualità, anche dal punto di vista sanitario. Diversa è l’intermediazione speculativa, dove grandi società internazionali – come Archer-Daniels-Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus (conosciute come “ABCD”) – controllano il mercato globale del grano, trattando il prodotto come una commodity e puntando alla standardizzazione. Al contrario, Cai lavora per valorizzare le produzioni nazionali, allontanandosi dalle logiche delle commodities».
Italia, granaio del futuro?
L’Italia è un Paese che soffre un abbandono sempre più massiccio delle campagne. Al netto delle sue criticità idrogeologiche e dei rischi legati al cambiamento climatico, secondo Scordamaglia potremmo tornare a essere un piccolo granaio d’Europa.
«Gli strumenti chiave sono due: i contratti di filiera che prevedono commitment di lungo termine con prezzo minimo garantito a copertura dei costi di produzione e con premium price che consente a chi produce di programmare investimenti e futuro; sviluppo e implementazione delle New Genetic Techniques (Ngt), strumenti essenziali che nulla hanno a che fare con gli ogm e che assicurano varianti in grado di resistere a condizioni di siccità o di evitare l’utilizzo di agrofarmaci. Fondamentale è anche il ruolo della ricerca applicata, che diventa il punto di raccordo per tutti gli attori della filiera».