Frontiere urbanisticheIl rapporto tra intelligenza artificiale e sicurezza stradale, secondo Carlo Ratti

«Abbiamo la responsabilità di addestrare e utilizzare l’IA come uno strumento utile a progettare città migliori, lasciando all’ingegno umano lo spazio di inventare quello che ancora non c’è», racconta il direttore del Senseable city lab del Mit di Boston

LaPresse

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Carlo Ratti, direttore del Senseable city lab del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, è stato per qualche giorno l’uomo più chiacchierato della mobilità italiana. A luglio, uno studio a sua firma – presentato durante il terzo forum di The urban mobility council, think tank del Gruppo Unipol – è stato interpretato in modo distorto da buona parte della stampa generalista, che ha fornito ai detrattori della Città 30 l’assist perfetto per attaccare un modello ormai consolidato in tutta Europa.

«Secondo uno studio del Mit a Milano il limite dei 30 km/h provoca più inquinamento», recita il titolo di un articolo di Rai News. «I dati scientifici esterni pubblicati oggi ci danno finalmente ragione», questo il commento di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. In realtà, la ricerca ha calcolato le emissioni basandosi su una circolazione a velocità costante: uno scenario che in città, dove dominano gli stop & go, non esiste. Lo stesso Ratti, in un’intervista a Repubblica, ha ammesso che si è trattato di uno spiacevole equivoco.

«Forse potevamo stare più attenti anche noi. In realtà la slide sulle emissioni avevamo deciso di levarla dalla presentazione perché lo scostamento era irrisorio e non teneva conto degli effetti nel medio periodo. Quella slide per qualche ragione è finita nella cartellina stampa e i giornalisti hanno fatto il resto. Ripeto: noi avremmo dovuto essere ancora più chiari ma in venti anni che dirigo il Senseable city lab del Mit una cosa simile non mi era mai successa. L’interpretazione corretta dei dati è: l’aumento delle emissioni è insignificante e peraltro le emissioni, man mano che si riduce l’uso delle automobili, scenderanno», ha detto.

A mente fredda e polemiche spente, la parte più interessante del chiarimento di Carlo Ratti a Repubblica non ha nulla a che vedere con lo studio del Mit, ma riguarda il rapporto tra intelligenza artificiale e sicurezza stradale. Così, archiviata la vicenda dell’inquinamento e delle emissioni di gas serra, ho contattato il noto architetto e urbanista per approfondire il ruolo dell’IA nella definizione dei limiti di velocità. Un tema che, forse, comporrà l’agenda della Biennale d’Architettura 2025 (10 maggio-23 novembre), curata proprio da Ratti e intitolata “Intelligens. Naturale. Artificiale”.

Carlo Ratti (LaPresse)

Professor Ratti, a Repubblica ha detto che con l’intelligenza artificiale volete «analizzare dove i limiti sono giusti e dove invece sono sbagliati». Come funziona questo processo? E su quali parametri si fonda? È un tema scivoloso perché non esiste una definizione universalmente condivisa di limiti corretti o meno
«Verissimo, i limiti sono un mezzo, non un fine. Un mezzo per ridurre gli incidenti, minimizzare il rumore nelle aree urbane o contrastare le emissioni. Questi obiettivi devono essere definiti dalla politica, possibilmente attraverso un processo che coinvolga i cittadini. Solo a quel punto l’IA può aiutare a raggiungere meglio gli obiettivi. Non c’è dubbio che i margini di miglioramento rispetto allo status quo siano notevoli. Molto spesso, infatti, i limiti di velocità sono un retaggio del passato e non sono mai stati adeguati alle evoluzioni e ai cambiamenti della mobilità. Capita spesso di andare a una velocità ridotta su un’isolata strada di campagna e invece avere limiti più “tolleranti” in città, a prescindere dalle condizioni del traffico. Andare verso la direzione di limiti intelligenti, magari anche dinamici, sarebbe una grande evoluzione, perché l’IA permetterebbe di gestire meglio i flussi di traffico e raggiungere gli obiettivi di cui parlavamo prima».  

Cosa intende con limiti di velocità «dinamici»?
«Sono limiti di velocità che cambiano rispetto alle condizioni del traffico o del contesto. Su un’autostrada deserta si potrebbe andare più in fretta rispetto a una strada congestionata. Mentre una riduzione dei limiti per la presenza di un asilo è spesso più importante in orario scolastico che di notte. Eventuali limiti dinamici non sono facili da gestire oggi: immaginiamo la confusione se sul tragitto che percorriamo ogni giorno i limiti cambiassero di continuo! Ma effettivamente potrebbero diventare realtà in un mondo fatto di veicoli autonomi o comunque parzialmente intelligenti».

L’IA può aiutare a impostare una città “a misura di persona”?
«Credo che per impostare una città “a misura di persona” serva l’intelligenza umana più che quella artificiale! Sono i cittadini che devono potersi esprimere sul futuro delle città in cui vivono. La tecnologia può al massimo intervenire dopo per facilitare l’implementazione, come dicevamo nel caso dei limiti di velocità».  

Nel mondo dell’urbanistica nota più diffidenza o apertura nei confronti dell’intelligenza artificiale?
«Vedo molta apertura, anche se a volte si scambia il concetto di intelligenza artificiale per ChatGpt. L’IA ci permette di analizzare grandi quantità di dati per capire meglio i problemi dell’ambiente urbano, permettendo quindi di progettarlo meglio».

Meno auto, limiti di velocità più bassi, più spazi verdi permeabili, più piste e corsie ciclabili, marciapiedi più larghi. Come si addestra un’IA che punta a diventare l’alleata degli architetti e urbanisti che credono in questo modello di città? 
«L’IA risponde alle sollecitazioni che noi diamo. Se, quindi, le addestreremo con i nostri bias, i nostri pregiudizi e i nostri paraocchi, avremmo risposte che andranno in quella direzione. Come architetti e urbanisti, la nostra responsabilità è addestrare e utilizzare l’intelligenza artificiale come uno strumento utile a progettare città migliori, lasciando all’ingegno umano lo spazio di inventare quello che ancora non c’è». 

Lei sarà il curatore della Biennale Architettura 2025, che avrà tra i temi cardine anche l’intelligenza artificiale. Si parlerà di IA e sicurezza stradale?
«Niente spoiler: per ora non posso svelare niente in dettagli! Come dice il titolo, si parlerà di molteplici intelligenze: naturali, artificiali, collettive».

Si dice spesso che l’IA ci aiuterà a superare una serie di mansioni automatiche, schematiche e noiose, dando più margine all’essere umano per dare sfogo alla propria creatività. Sta succedendo questo anche tra chi “disegna” le nostre città? 
«L’IA è una specie di “idiot savant”: sa tutto su tutti gli argomenti e oggi riesce a rispondere ai nostri quesiti rigurgitando le proprie conoscenze. Ma si trova assolutamente spiazzata di fronte a domande che non hanno ancora risposta, che sono poi quelle più importanti nella vita! Per quanto riguarda la progettazione, pensiamo a quello che scrisse il grande critico dell’architettura Bruno Zevi: “Gli artisti autentici, creatori di linguaggio, sono sempre pochissimi; li contorna una schiera di letterati, professionisti aggiornati che edificano correttamente, con un vago tocco di ispirazione, ma in prosa, non in poesia; segue la marea dei plagiari; tra questi, presuntuosi e retori scambiano il grande con il grosso. Ignorando il lessico, la grammatica e la sintassi della modernità, costruiscono in “stile moderno”, cioè, nel caso migliore, senza comunicare alcunché». Ecco, credo che l’IA generativa potrà spazzare via i secondi e i terzi cui faceva riferimento Zevi, ma – almeno per ora – non i primi».

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