Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Il cinquantuno per cento degli italiani è convinto che non sia pericoloso superare i limiti di velocità, e solo il 51,4 per cento pensa che gli scontri stradali siano dovuti a comportamenti scorretti. A rivelarlo è Csa Research, che per Anas, società del Gruppo Fs italiane che si occupa di infrastrutture stradali, ha condotto una ricerca su un campione di circa tremila persone. È in questo Paese che è stata approvata definitivamente la riforma del codice della strada voluta da Matteo Salvini, leader della Lega e ministro dei Trasporti. Mercoledì 20 novembre è arrivato il via libera da parte del Senato (ottantatré voti favorevoli, quarantasette contrari e un’astensione), che non ha modificato il testo passato a marzo alla Camera.
L’Italia è lo Stato più motorizzato dell’Unione europea (684 auto ogni mille abitanti) e ha un tessuto culturale in cui la velocità viene ancora concepita come un valore. Da noi i morti annui sulle strade non diminuiscono in maniera significativa da dieci anni, mentre nella maggior parte dei grandi Paesi europei – dalla Spagna alla Germania – le vittime per milione di abitanti risultano nettamente inferiori. Siamo al diciannovesimo posto su ventisette per tasso di mortalità.
Sono proprio i familiari delle vittime della strada a guidare il coro contro una riforma repressiva, che ignora l’importanza della prevenzione, si fonda un approccio sanzionatorio e non va al nocciolo della questione (il leitmotiv delle norme del governo Meloni): la velocità eccessiva, prima causa di morte sulle strade urbane. E il teatro del settantatré per cento degli incidenti stradali, stando ai dati Istat relativi al semestre gennaio-giugno 2024, è proprio la città. Nel confronto con il primo semestre del 2023, gli scontri in ambito urbano in Italia sono cresciuti del 7,3 per cento, in barba all’obiettivo delle zero vittime (Vision Zero) entro il 2050 imposto da Bruxelles.
Stefano Guarnieri nel 2010 ha perso il figlio Lorenzo, diciassette anni, ucciso da un uomo in stato di alterazione alla guida di una moto. Pochi mesi dopo ha fondato l’Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus, tra gli enti firmatari della petizione – lanciata lunedì 18 novembre – contro la riforma del codice della strada. «Non è corretto che il governo dica che ha ascoltato le associazioni dei familiari delle vittime. Le ha fatte parlare, ma non le ha ascoltate. Non ha preso niente di quanto è stato detto nelle audizioni», ha scritto Guarnieri in un lucidissimo post su LinkedIn.
Che messaggio può trasmettere una legge che introduce la possibilità di violare i limiti di velocità più volte nell’arco di un’ora lungo un tratto stradale, ricevendo una sola multa (conterà solo la violazione più grave, con l’importo della sanzione che verrà alzato di un terzo rispetto a ora)? «Dietro pagamento di una somma relativamente modesta, 161 euro, si potrà “comprare” il diritto di correre per un’ora in autostrada a 175 km/h (130 km/h + 40 km/h di sforamento massimo + 5 km/h di tolleranza)», si legge in un documento redatto da Andrea Colombo, ex assessore alla Mobilità di Bologna ed esperto legale in materia di sicurezza stradale e mobilità sostenibile, e Alfredo Drufuca, ingegnere dei trasporti e responsabile tecnico di Polinomia srl.
Che messaggio può trasmettere una legge che consente di entrare nelle Ztl più volte nella stessa giornata pagando una sola multa? Che messaggio può trasmettere una legge che non interviene in alcun modo sulla riduzione della velocità? Che messaggio può trasmettere una legge che – per via dell’ambiguità tra «omologazione» e «approvazione» – limita la diffusione di nuovi autovelox (non si potranno installare sotto i cinquanta all’ora, nelle strade urbane o Zone 30 e nelle extraurbane sotto i novanta all’ora)? Che messaggio può trasmettere una norma che strozza l’autonomia del Comuni nella realizzazione delle Zone a traffico limitato (Ztl)?
Il codice della strada è una delle norme più complesse e articolate che esistano. L’ultima versione risale al 1992 e un cambiamento era necessario. Ci sono punti corretti, come quelli relativi all’aumento delle sanzioni nei confronti di chi abbandona gli animali e guida in stato di alterazione o con lo smartphone in mano; oltre all’alcolock, verrà introdotta la sospensione breve della patente in caso di infrazioni già sanzionate con la decurtazione (una settimana per chi ha meno di venti punti sulla patente e quindici giorni per chi ne ha meno di dieci). Ma il disegno generale della riforma è completamente sfocato, perché chiude un occhio sulla velocità elevata e non protegge gli utenti più deboli della strada.
Quest’ultimo è il motivo per cui l’approvazione del codice dovrebbe essere segnalata e approfondita su tutte le sezioni “clima” e “ambiente” di siti, magazine e quotidiani. Il Ddl di Salvini di fatto cancellerà il Decreto semplificazioni (L120/2020), che durante la pandemia aveva colmato le distanze – tutt’oggi enormi – tra le città italiane e le metropoli europee più avanzate sulla mobilità sostenibile.
D’ora in avanti sarà molto più difficile realizzare una corsia ciclabile a linea tratteggiata (anche detta bike lane): potrà essere “disegnata” solo nelle zone in cui viene accertata l’impossibilità di progettare una pista ciclabile in sede protetta, e non potranno essere collocate al centro o a sinistra della carreggiata (cosa che all’estero è molto comune). In generale, prima di procedere con questi interventi bisognerà attendere un apposito regolamento del ministero dei Trasporti. Significa che i Comuni non potranno più muoversi in autonomia nella gestione delle città che amministrano.
Lo stesso vale per il “doppio senso ciclabile”, che permette alle bici di procedere in entrambe le direzioni nelle strade a senso unico per i mezzi a motore. In più, le “case avanzate” – le linee d’arresto che consentono alle persone in bici di svoltare per prime, in sicurezza, dopo un semaforo – potranno essere collocate solo lungo le strade con un’unica corsia per senso di marcia e contraddistinte dalla presenza «strutturale» di una pista o corsia ciclabile.
Tutti questi interventi urbanistici, che costano poco e hanno vantaggi immediati, sono pensati nell’ottica di una condivisione più equa delle strade, storicamente dominate dalle automobili. Ma il codice della strada di Matteo Salvini vede le persone in bici come un ostacolo o come una specie protetta che non può fare la differenza nelle dinamiche urbane. Questo, forse, è l’elemento più allarmante della legge. Il divieto di rendere visibili le “strade urbane ciclabili” con un’apposita segnaletica orizzontale (il “30”, una bici sull’asfalto…) è poi il sintomo dei timori (reverenziali?) della destra nei confronti dei simboli della “nuova mobilità”. Simboli che, in un mondo ideale, non dovrebbero avere un posizionamento politico.
Queste novità freneranno ulteriormente la diffusione della mobilità sostenibile, rendendo le nostre città ancora più inquinate e non contribuendo al taglio delle emissioni dei trasporti. L’obbligo di targa, assicurazione e casco (anche per i maggiorenni) sui monopattini elettrici, in condivisione e non, è la ciliegina sulla torta di una riforma miope e tristemente in linea con i tagli in Manovra: -4,6 milioni di euro per interventi di sicurezza stradale e per l’educazione stradale; -47 milioni di euro per le piste ciclabili urbane e -31,9 milioni € di euro per le ciclovie turistiche); -70,3 milioni di euro per il capitolo «mobilità sostenibile e sicurezza stradale» del Fondo per lo sviluppo infrastrutturale del Paese; nessun investimento per il Piano nazionale della sicurezza stradale 2030.