Eroina dei due mondiPerché Salomé Zourabichvili è la donna europea dell’anno

Linkiesta ha deciso di premiare la presidente georgiana per il suo instancabile lavoro contro la russificazione coatta del suo paese

LaPresse

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 25 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.

Una francese dal nome biblico, figlia di aristocratici immigrati a Parigi, è al momento l’unico ostacolo politico alla russificazione coatta della Georgia. Quando ci si mette, il destino esercita nei modi più imprevedibili la sua fantasia, ma in questa storia è tutto vero. Parliamo di Salomé Zourabichvili che dal 2018 è la prima presidente donna della Georgia. Secondo Linkiesta, lei merita più di tutte il titolo di donna europea dell’anno per aver avuto il coraggio di contestare apertamente il risultato truccato delle elezioni parlamentari del 26 ottobre 2024, vinte, si fa per dire, da Sogno Georgiano.

Il partito filorusso di governo ha ottenuto formalmente il cinquantaquattro per cento dei voti, ma dentro quella percentuale sono nascoste schede elettorali precompilate e forzatamente inserite nelle urne, corruzione, violenze e intimidazioni ai seggi, come denunciato dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Brogli confermati anche da due società di sondaggi americane indipendenti, Edison Research e HarrisX, che hanno notato rispettivamente una variazione del tredici per cento e dell’otto per cento tra i loro exit poll e i risultati ufficiali, soprattutto nelle zone rurali.

In realtà il consenso di Sogno Georgiano sarebbe nettamente minore, intorno al quaranta per cento e comunque minoritario rispetto al’ottantanove per cento di georgiani che secondo l’ultimo affidabile sondaggio sogna di entrare nell’Unione europea. Ed è a loro che si è rivolta Zourabichvili in comizio lungo viale Rustaveli, la strada principale di Tbilisi, dove si trova il Parlamento georgiano. Davanti a migliaia di concittadini ha denunciato i brogli pretendendo un’inchiesta imparziale per garantire che ogni voto sia conteggiato correttamente dalla commissione elettorale che finora ha ricevuto almeno quattrocentoquarantacinque denunce di irregolarità. 

Come succede spesso nelle democrazie illiberali, la politica ha cercato di vendicarsi attraverso la magistratura. La Procura Generale della Georgia ha sì avviato un’indagine sulle presunte irregolarità, chiedendo però di interrogare Zourabichvili. Una mossa irrispettosa del suo status di presidente, quasi a rendere la sua denuncia alla pari di quella di un normale cittadino. La presidente si è rifiutata e ha rilanciato, mostrando al mondo altre prove dei brogli, tra cui dei filmati di palesi violenze e irregolarità ai seggi il giorno del voto. 

Il coraggio della presidente è encomiabile proprio perché ha tutto da perdere. Scendere dal piedistallo dell’imparzialità politica a poche settimane dalle elezioni presidenziali per il rinnovo della sua carica rischia di essere un autogoal tattico. Ma Zourabichvili è abituata a prendere decisioni nette in nome dei suoi princìpi, come nel 2004 quando accettò di diventare la prima ministra degli Esteri donna in Georgia dopo aver passato cinquantuno anni da cittadina francese, di cui trenta nella diplomazia transalpina. 

Il primo risultato arrivò subito e rimase nella storia: Zourabichvili negoziò con successo il ritiro delle basi militari russe dal territorio georgiano. Nata e cresciuta a Parigi da una famiglia di esuli georgiani fuggiti dall’occupazione sovietica del 1921 sapeva e sa quanto possa essere pesante il tallone colonialista di Mosca. Poco dopo venne estromessa dal governo dall’allora primo ministro Zurab Noghaideli, ma quel bagliore europeista in un grigiore post sovietico ha creato una rotta diplomatica per Tbilisi e rafforzato le premesse per il suo futuro politico. 

Va ricordato un dettaglio decisivo e solo apparentemente contraddittorio: Salomé Zourabichvili è stata eletta presidente nel 2018 come candidata indipendente grazie al sostegno fondamentale dei militanti di Sogno Georgiano che avevano visto in lei un’opportunità strategica, scommettendo sulla sua reputazione internazionale per dare maggiore credibilità alla Georgia sulla scena europea e occidentale. Sognavano una presidente che con il suo europeismo bilanciasse nominalmente una politica sempre più filorussa. La solita storia dei piedi in due scarpe o dei due forni, se preferite. Ma avevano fatto male i conti. 

Infatti Zourabichvili non ha mai esercitato una diplomazia sterile, né mandato messaggi ambigui tra le righe, ma ha sempre contestato a gran voce ogni piccolo passo della Georgia verso l’autoritarismo, usando la sua moral suasion per far approvare riforme che avvicinassero Tbilisi all’Unione europea. I suoi sforzi sono stati ripagati il 14 dicembre 2023, quando il Consiglio europeo ha concesso alla Georgia lo status di candidato all’Unione. Un risultato insperato, escluso irrevocabilmente dagli addetti ai lavori fino a pochi giorni prima. 

Questa decisione storica ha preoccupato non poco il governo di Sogno Georgiano, impaziente di mantenere un ruolo equidistante tra Bruxelles e Mosca. Da quel momento è iniziata un’altra battaglia politica per Zourabichvili: non più in attacco, bensì in difesa. Nel maggio 2024 la presidente georgiana ha attirato l’attenzione del mondo ponendo il veto alla controversa legge sull’influenza straniera approvata dal parlamento georgiano. Una norma che impone a media e organizzazioni non governative che ricevono oltre il venti per cento dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come «organizzazioni che perseguono gli interessi di una potenza straniera». 

La presidente ha definito quella legge «russa nella sua essenza e nel suo spirito», facendosi portavoce di gran parte dei georgiani scesi in piazza per protestare. Nonostante le manifestazioni, il Parlamento ha risposto al veto approvando di nuovo la norma contestata. Zourabichvili non si è rassegnata e a settembre si è rifiutata di firmare un’altra legge approvata dal parlamento georgiano che vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso, le adozioni da parte di coppie omosessuali e la rappresentazione delle relazioni Lgbtq+ nei media (qualsiasi cosa voglia dire). La presidente georgiana non si è limitata all’ostruzionismo politico ma ha pubblicamente agito per combattere l’omofobia nel suo paese, partecipando al funerale della modella transgender georgiana Kesaria Abramidze, uccisa nel suo appartamento a Tbilisi il 18 settembre 2024. 

Zourabichvili non è un nome mediaticamente accattivante; non lo troviamo spesso nei titoli dei giornali occidentali ed è proprio per questo motivo che Linkiesta vuole darle il premio di donna europea dell’anno. Per chi la guarda dall’Europa, Zourabichvili è una figura scomoda, perché costringe a confrontarci con una realtà spesso dimenticata: quella di una parte di Europa che per emanciparsi dall’influenza russa deve lottare contro nemici esterni e interni.

La presidente georgiana sa bene che i sogni si pagano a caro prezzo, e che l’indipendenza è una merce rara, soprattutto per un Paese come il suo, incastrato da sempre tra grandi potenze. Nonostante tutto, si aggrappa al sogno europeo e lo fa con una determinazione ostinata. La Georgia in Europa, lo ripete ogni volta che può, ogni volta che il suo popolo si riunisce in viale Rustaveli, ogni volta che in Occidente qualcuno si dimentica della sua nazione. «Siamo parte dell’Europa», dice. Non perché si illuda che l’Unione europea sia perfetta, tutt’altro, ma perché sa che l’alternativa è un passato autoritario da cui fuggire per evitare che la tragedia vissuta diventi farsa subìta. 

La Georgia è uno di quei paesi che quando si citano lasciano negli sguardi di molti europei occidentali un vago stupore, come se si parlasse di una leggenda lontana o di un cimelio sovietico. Eppure nel cuore del Caucaso, tra confini ambigui e memorie millenarie, c’è una domanda di Europa che non può essere ignorata. La sua portavoce è Salomé Zourabichvili, presidente della Georgia, francese di nascita e georgiana di sangue. Una politica imperfetta, come tutti noi, tenace e narcisa, mediatica e diplomatica, cosmopolita e allo stesso tempo identitaria. Un’eroina dei due mondi, Francia e Georgia, che forse a guardar bene sono solo due lati della stessa medaglia: Europa. 

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