Alle elezioni regionali del 17 e 18 novembre gli italiani si avvicinano con una certezza e un’incognita. In Emilia-Romagna è scontata la vittoria del centrosinistra di Michele De Pascale, mentre in Umbria i sondaggi prevedono un testa a testa tra due donne. Al 48,7 per cento Donatella Tesei, la presidente uscente a capo della coalizione di centrodestra, mentre al 47,5 per cento la sindaca di Assisi Stefania Proietti che guida la colazione di centrosinistra formata da Partito democratico-Movimento 5 stelle-Alleanza Verdi e Sinistra. La partita è apertissima in quella che può considerarsi a buon diritto una regione arcitaliana perché incarna in maniera emblematica le contraddizioni, i problemi e le eccellenze del Paese dove andrà in scena per l’ennesima volta la sfida tra la tenuta della maggioranza e l’esperimento del campo largo giallorosso, che fu inaugurato proprio qui cinque anni fa; anche se quella volta non andò benissimo.
Per vedere come andrà finire bisogna capire come arriva l’Umbria al voto. Una regione che vive da molto tempo il complesso della regione nascosta. Per secoli è stata la tappa obbligata del Grand Tour, tra Firenze e Roma, ma nel Novecento ha smarrito centralità con la costruzione dell’Autostrada del Sole, che la sfiora a Orvieto senza attraversarla completamente. La colpa di quella curva così innaturale a spezzare il rettilineo tra Milano e Roma, lungo gli Appennini, fu del democristiano Amintore Fanfani, desideroso che il tracciato passasse sulla sua Arezzo, tagliando così fuori Perugia. Anche fosse, rimane il mistero per cui generazioni di dirigenti locali non abbiano cercato di colmare quello sgarbo politico. Infatti in un’Italia attraversabile decentemente da nord a sud, ma malissimo da est a ovest, l’Umbria non riesce nemmeno a sfruttare il proprio cuore geografico venendo snobbata dall’alta velocità, condannata a una rete ferroviaria antiquata, con un capoluogo, Perugia, collegato poco e male in cui i Frecciarossa arrivano (due, uno la mattina, uno la sera), ma a velocità ridotta una volta superata Arezzo.
Per capire il dramma ferroviario bastano due numeri: Firenze è a soli centosettanta km, Roma a centocinquanta. Un soffio, sulla carta, eppure, percorrere queste distanze richiede tempi ancora novecenteschi: da Firenze a Perugia ci vogliono due ore in treno, lo stesso tempo che serve per coprire la distanza – doppia – tra Milano e Firenze. Ancora peggio va con Roma, collegata da convogli lenti e linee non elettrificate, che rendono il viaggio un’impresa poco edificante per turisti e pendolari impegnati a risolvere il mistero della perdita di rete mobile in una tratta con poche gallerie e molta pianura.
Per decenni l’Umbria ha compensato le sue carenze infrastrutturali con un sistema produttivo di rara solidità, accontentandosi del turismo religioso di Assisi e regalandosi grandi sfizi culturali da far invidia ai grandi centri per la loro fama internazionale (Umbria Jazz ed Eurochocolate a Perugia, il Festival dei due mondi a Spoleto). Lo ha fatto perché il suo tessuto industriale era formato da potenti distretti: acciaio a Terni, cemento a Gubbio, ceramica a Deruta, stampa e tabacco a Città di Castello; tessile e cioccolato a Perugia. Una varietà di eccellenze che disegnava il modello perfetto italiano: produttività, benessere diffuso, identità territoriale.
Ma la crisi economica ha eroso quella certezza portando a un crollo della produzione: soprattutto l’industria e le costruzioni, più bassi del trenta per cento rispetto a quindici anni fa. Da quello shock si è ripreso solo il commercio, l’unico a tornare ai livelli pre 2008. A reggere il colpo non è bastata la presenza dell’Università per Stranieri di Perugia, ammaccata dopo il caso dell’esame di italiano al calciatore Luis Suarez e meno citata dopo la nomina del televisivo Tomaso Montanari, rettore della sua omologa senese. Anche lo storico ateneo UniPg, il sesto più antico d’Italia (fondato nel 1308) fino alla pandemia non se l’è passata benissimo, colpito mediaticamente al cuore dopo l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher nel 2007. Una ferita riaperta dalle recenti riprese a Perugia di “Blue Moon”, fiction prodotta da Amanda Knox, condannata in primo grado per l’omicidio e poi assolta in appello e cassazione.
Negli ultimi anni è emersa una paura inedita in Umbria: non essere più considerata l’ultima delle regioni del Nord, ma la prima delle regioni del Sud. A confermarlo è un pessimo dato del Cresme, secondo cui da almeno venti anni, l’Umbria fa meglio economicamente solo rispetto al Molise e alla Calabria «una regione che cresce e recupera terreno, ma meno di altre realtà territoriali; in cui aumentano produttività e posti di lavoro ma dove il valore aggiunto per occupato è molto più basso della media nazionale e scarsi livelli di efficienza della pubblica amministrazione», si legge nel report.
Non va tutto male, anzi. Come l’Italia in generale, anche l’Umbria ha provato a risollevarsi con l’export agroalimentare delle sue eccellenze, ma soprattutto siderurgico e tessile, grazie a grandi exploit imprenditoriali, uno su tutti quello di Brunello Cucinelli. E anche l’Università di Perugia dopo la pandemia è tornata a crescere sfiorando i trentamila studenti. Però il dato più inquietante e difficilmente risolvibile è quello demografico: fra il 2013 e il 2023 se ne sono andate quarantamila persone, che in una regione di oltre ottocentomila non è il massimo. Per capirci in dieci anni è sparito l’equivalente di Città di Castello, o Rho se preferite un paragone padano. L’Umbria non riesce ad attrarre talenti, la popolazione invecchia rapidamente e i giovani emigrano. Insomma un’Italia in miniatura.
Anche così si spiega il traumatico passaggio nel 2019 da regione rossa a feudo del centrodestra, con l’innamoramento leghista che ha portato alla vittoria di Donatella Tesei. Cinque anni fa gli umbri punirono consapevolmente i dirigenti regionali e locali di sinistra pigramente addormentati nella placida conservazione dell’esistente e incapaci di riportare il benessere di un tempo. Simbolo del fallimento del modello umbro fu l’inchiesta giudiziaria sulle irregolarità nei concorsi pubblici per l’assunzione di personale sanitario che portò alle dimissioni della dem Catiuscia Marini e alle elezioni anticipate del 2019. Cinque anni dopo la Sanità non è migliorata granché: non solo per la carenza di posti letto, ma anche per l’alto dato di spostamento ospedalieri fuori regione per ricoveri ordinari acuti. Tradotto: nonostante l’alto numero di medici specializzati in rapporto agli abitanti, se non c’è una emergenza, gli umbri preferiscono andare in altre regioni per ricoveri programmati o non urgenti.
Ed è proprio sul rilancio della Sanità che ha puntato molto Proietti nella sua campagna elettorale, denunciando anche la scelta di Tesei di stanziare molti denari per contribuire alla costruzione della Medioetruria, una stazione dell’alta velocità su modello di Reggio Emilia che dovrebbe essere realizzata a Creti in Toscana, vicino al confine con l’Umbria e a quaranta minuti in macchina da Perugia. Dovrebbe, perché il progetto è ancora su carta. La presidente umbra non ha risolto il problema sanitario e ferroviario, ma può rivendicare un risultato fortemente voluto dalla sua amministrazione: il grande rilancio del turismo. Nel 2023 l’Umbria ha raggiunto il picco storico di arrivi e presenze, grazie al rilancio del brand “Umbria cuore verde d’Italia”, come testimoniano gli innumerevoli spot televisivi e gli onnipresenti cartelloni umbri nelle stazioni d’Italia.
L’Umbria ha sfruttato con una ingenua spavalderia l’onda del sovraturismo perché la sua densità di popolazione (quindicesima su venti regioni) permette di digerire afflussi lungo tutto il territorio senza particolari patemi. Anche perché guardar bene i numeri si tratta prevalentemente di turismo interno, anche se grazie alla sua fama di luogo mistico, pacifico e dai paesaggi mozzafiato, il cuore verde d’Italia ha attratto negli anni residenti d’eccezione: Ed Sheeran ha acquistato una villa storica a Paciano, George Lucas ha restaurato un ex monastero a Passignano, l’attore Colin Firth ha una fattoria biologica a Città della Pieve, stessa zona dove ha una casa l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi; Terry Gilliam ha creato un suo piccolo feudo intellettuale a Montone, dove presiede il suo Umbria Film Festival e Gwyneth Paltrow trascorre molto del suo tempo in un prestigioso resort nell’Alta Umbria. A scorrere l’elenco viene da chiedersi se questa regione sia stata scelta perché difficilmente raggiungibile dai paparazzi.
Per qualche ora i cronisti politici guarderanno con attenzione l’Umbria, un po’ Pennsylvania, un po’ sfera di cristallo, per capire se sarà l’anticamera del rilancio del centrosinistra o la conferma dell’Italia meloniana. Alle ultime elezioni europee ha vinto il centrodestra e Fratelli d’Italia è stato il primo partito con il 32,6 per cento dei voti, migliorando addirittura il risultato delle politiche del 2022. Un segno che il leghismo del 2019, cinque anni dopo si è trasformato in melonismo. Ma non bisogna scordare un dato in controtendenza: alle elezioni di giugno, Perugia è tornata al centrosinistra con il successo di Vittoria Ferdinandi dopo dieci anni di amministrazione di destra. E il capoluogo non è poca cosa.
Oltre al sempiterno astensionismo, a pesare saranno tre fattori su tutti: il ruolo delle liste civiche (corpose in entrambe le coalizioni), il voto cattolico a favore di Proietti e l’effetto imprevedibile del mediatico sindaco di Terni Stefano Bandecchi, a favore di Tesei. In ogni caso, l’unica certezza elettorale è che in questa regione dove dal 2000 governano solo donne (Maria Rita Lorenzetti, Catiuscia Marini, Donatella Tesei) a vincere non sarà un uomo. Anche in questo, l’Umbria del 2024 si rivela arcitaliana.