In questo senso è ben possibile che Israele abbia commesso crimini di guerra: nel senso che è ben possibile che in guerra siano commessi crimini di guerra. Ma al di là della possibilità che Israele abbia commesso crimini di guerra – una possibilità che non può essere esclusa perché quella di Gaza è una guerra – non c’è letteralmente nulla, a oggi, a documentare che Israele ne abbia commessi.
Le risoluzioni delle Nazioni Unite, le ordinanze e i pareri della Corte Internazionale di Giustizia, i dispacci di stampo inquisitorio della Corte Penale Internazionale e insomma tutti i mezzi dell’attenzione internazional-giudiziaria occhiuti su Israele hanno registrato fuffa, balle, numeri inventati e dati contraffatti messi sul conto di una responsabilità israeliana semplicemente precostituita. Le investigazioni sulle zone di sterminio che Israele avrebbe realizzato e posto in funzione, documentate da un articolo di Al Jazeera. Le requisitorie contro il disegno dei corridoi umanitari al fine di trasformali in corridoi della morte, un programma di perfezionamento dello sterminio dei civili documentato da un articolo del Guardian.
Le killing list compilate dall’Intelligenza Artificiale, che individua gli obiettivi da eliminare e indica il numero di civili sacrificabili, il tutto documentato da fonti anonime citate dal blog +972. E tutto questo ben di dio, si badi bene, tutto questo affidabile repertorio – Al Jazeera, il Guardian, il blog – non si trova citato in un comizio per la liberazione palestinese dal fiume al mare o in un talk del Porcaio Unico Televisivo, nossignore, si trova su carta intestata dell’Onu e della Corte Internazionale di Giustizia.
Dell’apparato probatorio messo insieme dall’altra, cioè la Corte Penale Internazionale, si sa poco perché il secondo fronte anti-israeliano e antisemita dell’Aia ha finora creduto bene di non spiegare su quali evidenze si basassero, nel maggio scorso, le richieste di arresto formulate nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant né, poi, su che cosa si fondasse la pedissequa coppia di ordini di arresto di cui la Corte ha dato comunicazione spiegando che però era meglio secretarne il contenuto.
Qualcosa è dato supporne leggendo ciò che a suo tempo ne disse il prosecutor della Corte, Karim Khan, e ciò che poi ha illustrato la Corte medesima nella brochure con cui, giorni fa, dava al mondo la gioiosa novella delle manette da mettere ai polsi di quei due, incidentalmente due leader democraticamente eletti dall’unico, minuscolo sistema democratico incastonato nel vasto latifondo barbarico-dittatoriale del Medio Oriente.
Nella sua dichiarazione di maggio, quel pubblico ministero del pregiudizio anti-sionista snocciolava le plurime figure criminose addebitate a Bibi e a Gallant e, rispettivamente, a due signori di Hamas medio tempore rimessi alle cure delle decine di vergini, nonché a uno delle brigate Al-Qassam probabilmente già affidato ad analoghe piacevolezze.Eminente tra quelle accuse – dallo sterminio alla «persecuzione» (?) – era il deliberato uso della fame come arma di guerra, un progetto realizzato nella carestia che a quel tempo (maggio 2024) sarebbe stata presente in alcune zone di Gaza e catastroficamente imminente in altre.
Quale carestia? Quella che non c’era quando Khan ne denunciava l’inesistente esistenza e quella che non ci fu dopo che Khan ne denunciò l’imminenza. Il tutto, certificato dai rapporti Ipc (Integrated food security phase classification), uno dei quali di pochi giorni successivo a quella dichiarazione, che accertavano l’insussistenza della carestia pregressa e di quella di cui si lamentava reiteratamente l’incombere, e che tuttavia il prosecutor non riteneva di sottoporre alla Corte dalla quale reclamava l’emissione degli ordini di arresto.
Corte che a sua volta, organizzando la promotion degli ordini di arresto (secretati) dell’altro giorno, faceva bensì riferimento alla fame che Israele avrebbe usato come arma di guerra contro la popolazione palestinese, ma non più alla «carestia» che, secondo il prosecutor, avrebbe documentato l’attuazione di quel programma di presa per fame.
Rimaneva l’arresto, dunque: non il fatto (perché non c’era) in cui risiedeva la prova che l’avrebbe giustificato. Trascurabili dettagli a fronte delle superiori esigenze di giustizia, com’era trascurabile la campagna tesa a dare una parvenza di polpa all’ossatura di un’accusa di genocidio, di omicidi di massa e appunto di sterminio per fame già perfettamente formulata quando le operazioni israeliane non erano neppure agli inizi. Ma fa poi capolino dalla velina della Corte Penale Internazionale la significativa curvatura di un’altra chicca: la parte in cui, sul ramo delle accuse che si allontana dalle divagazioni in argomento di carestia e volge verso gli scenari delle aggressioni contro i civili, la Corte trova appesi soltanto due casi verificabili.
Due, a fronte della somma di allegazioni che, secondo il prosecutor, descriveva le diffuse e monumentali responsabilità di Israele. Vale la pena di riportare il passo in questione: «A questo proposito, la Camera – il collegio pre-dibattimentale, n.d.r. – ha rilevato che il materiale fornito dalla Procura le ha permesso di avere riscontro solo su due incidenti che si sono qualificati come attacchi intenzionalmente diretti contro i civili». Due. E il fatto che siano soltanto due, per carità, non ne destituirebbe il rilievo criminoso (se fossero accertati), ma il fatto che siano soltanto due destituisce di affidabilità l’accusa che raccontava la guerra di Gaza come una vasta costellazione di fatti criminali, con i civili oggetto di una deliberata e sistematica operazione di massacro.
Altro non c’è a supporto degli addebiti di crimini di guerra e contro l’umanità rivolti a Israele. Il che non significa che crimini di quel rango non possano essere stati commessi, com’è possibile (non vuol dire perdonabile) che in guerra ne siano commessi. Ma il pubblico e inesausto indugio, senza prove, sulla presunta commissione di quei crimini nella guerra di Gaza ha una base motivazionale tutta diversa: non già reclamare che siano puniti i crimini eventualmente commessi in quella guerra, bensì fare di quella guerra un crimine complessivo. E fare di chi la combatte, il popolo di Israele, un complesso criminale. Il diritto non c’entra, propriamente, nulla.