Fiumi di datiL’acqua piovana potrebbe essere la soluzione al fabbisogno idrico dell’IA

I sistemi di raffreddamento dei server nei data center hanno bisogno di assorbire e dissipare enormi quantità di calore prodotto. Secondo diversi studi scientifici, al momento la pioggia raccolta in strutture dedicate potrebbe essere l’opzione più sostenibile

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Le intelligenze artificiali sono macchine perennemente assetate. Non solo di dati utili per il proprio addestramento, ma anche di acqua in senso stretto. I server all’interno dei data center che permettono il funzionamento dei modelli di intelligenza artificiale necessitano infatti di gigantesche quantità di acqua per i sistemi di raffreddamento che assorbono e dissipano il calore prodotto. Secondo uno studio condotto dall’Università della California di Riverside, entro il 2027 la domanda globale di intelligenza artificiale generativa potrebbe richiedere un prelievo di 6,6 miliardi di metri cubi d’acqua, una cifra superiore al fabbisogno della Danimarca. La ricerca ha dimostrato come un numero compreso tra le venti e le cinquanta richieste a ChatGpt (prompt) possa arrivare a consumare l’equivalente di una bottiglia da circa mezzo litro.

Secondo le stime, inoltre, nel 2022 Google ha utilizzato il venti per cento in più di acqua rispetto all’anno precedente proprio a causa dell’impennata del settore grazie alla popolarità ottenuta da OpenAI e dal suo chatbot, mentre l’intero Stato della Virginia – patria americana dei data center – ha assistito a un aumento dei consumi di quasi due terzi dal 2019. Negli ultimi mesi, la rincorsa delle Big Tech a soluzioni a basso impatto ambientale in grado di soddisfare le necessità energetiche dell’IA ha conosciuto una notevole accelerazione. A settembre Microsoft ha firmato un accordo storico per l’ottenimento di energia elettrica da uno dei reattori della centrale nucleare di Three Mile Island, in Pennsylvania.

La stessa considerazione, per assurdo, non è stata data al rapido incremento dell’utilizzo di quella che rimane la risorsa più importante del nostro pianeta: l’acqua, per l’appunto. In questo senso, i principali player del settore stanno investendo sempre di più nel riciclo o immaginando strategie avveniristiche, come il trasferimento dei data center sul fondo dell’oceano. Ma si tratta di soluzioni palliative o troppo orientate al lungo termine.

Come fare quindi? Finora si è prestata poca attenzione a quella che potrebbe rivelarsi la soluzione più semplice ed efficace: la raccolta dell’acqua piovana. Sempre più studi evidenziano come l’accumulo di pioggia in strutture dedicate possa far fronte a problemi quali la siccità e la carenza di riserve nelle falde acquifere, riducendo al contempo le emissioni di gas serra correlate al pompaggio dell’acqua da un sito all’altro. In Yemen, per esempio, molti bambini devono abbandonare la scuola perché costretti a percorrere lunghe distanze per la raccolta dell’acqua, un fenomeno che riguarda diversi Paesi poveri e che va ad aggiungersi ai problemi già citati. Un ambizioso progetto coordinato dalla Banca Mondiale ha lavorato in sinergia con le comunità locali per costruire sistemi di raccolta dell’acqua piovana in alcuni villaggi, dimostrando come una pratica così semplice e millenaria possa ancora svolgere un ruolo fondamentale nel migliorare la vita delle persone in molte aree rurali trascurate. I benefici della conservazione dell’acqua, del resto, sono enormi.

Negli Stati Uniti molti Stati se ne sono resi conto e hanno deciso di autorizzare questa pratica: dal Texas all’Arizona, sono sempre di più le amministrazioni che incentivano la raccolta dell’acqua piovana offrendo agevolazioni e incoraggiando le realtà private a seguire l’esempio del pubblico. Colossi industriali come Apple, Ford e Toyota hanno recentemente integrato sistemi di raccolta e mantenimento in molti dei loro stabilimenti di produzione. L’applicazione di questa filosofia alla gestione dei grandi data center potrebbe rappresentare il prossimo passo per rendere più sostenibile anche il settore dell’intelligenza artificiale. Tale prospettiva, al momento, si scontra con una dura realtà: quella economica.

Oggi l’installazione di sistemi di recupero delle acque meteoriche per impianti particolarmente estesi comporta una spesa ingente, con variazioni notevoli in base alle esigenze di stoccaggio e filtraggio. Se un data center si trova in una zona dove il costo dell’acqua comunale è basso, non è conveniente investire in questa direzione. Tuttavia, in un mondo in cui il prezzo e l’incertezza legata alle risorse idriche aumentano per via dei cambiamenti climatici, l’economia della raccolta dell’acqua piovana potrebbe essere la risposta giusta. In fondo parliamo di un investimento una tantum in grado di ridurre i costi a lungo termine, esattamente come i pannelli solari.

Le infrastrutture, peraltro, già ci sono. Come sottolinea Scientific American, gli ampi tetti dei centri di elaborazione diffusi negli Stati Uniti ben si prestano allo scopo: un tetto da poco meno di cinquemila metri quadrati può raccogliere oltre centomila litri d’acqua da un solo centimetro di pioggia. La maggior parte di queste strutture supera tranquillamente tali dimensioni e i cosiddetti hyperscale (i data center più grandi) presentano spesso coperture che arrivano anche a centomila metri quadrati. Per rendere l’idea: The Citadel, un centro dati gestito dalla società americana Switch che si trova a Reno, in Nevada, occupa da solo un’area di oltre seicentomila metri quadrati. E non si tratta nemmeno del più grande degli Stati Uniti.

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