Sulla legge istitutiva della “Giornata nazionale delle vittime degli errori giudiziari”, da celebrarsi, come proposto dal Partito Radicale, il 17 giugno – data dell’arresto di Enzo Tortora – lo scorso 3 dicembre si è celebrata presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati la giornata della cattiva coscienza parlamentare bipartisan.
In quella data si doveva infatti approvare non già la proposta di legge, ma solo il cosiddetto testo unificato delle tre proposte di legge depositate a questo fine, su cui avviare la discussione. A fare notizia, giustamente, è stata soprattutto la comica vigliaccheria del Partito democratico.
Per opporsi alla proposta, come era gradito all’Associazione nazionale magistrati, e come era utile per non lasciare al Movimento 5 stelle la rendita dell’indignazione togata, i democratici si sono sfilati non trovando motivazione migliore che censurare l’irrispettosa censura della figura di Enzo Tortora, obliterata nel testo dell’articolato su richiesta dei promotori, e elucubrare alati pensieri sulla stessa nozione di errore giudiziario, che in effetti all’interno del codice di procedura penale trova spazio solo per le condanne definitive, ribaltate dopo il procedimento di revisione e non per casi di ingiusta detenzione, cioè per le misure di custodia cautelare disposte a carico di un indagato o di un imputato, che sia stato successivamente prosciolto.
Se davvero le motivazioni del Partito democratico fossero state quelle di onorare la figura di Tortora, e di estendere la nozione di errore a tutti i casi in cui i cittadini sono vittime di una lunga e infruttuosa persecuzione giudiziaria, anche senza finire in galera, queste avrebbero dovuto spingere il Partito democratico a essere ancora più della partita, non a chiamarsene fuori. Cosa che il Partito democratico non solo voleva, ma doveva fare per non indispettire il dottor Giuseppe Santalucia, che ha accusato la proposta legislativa di «dare un messaggio in controtendenza rispetto alle numerose giornate in memoria della legalità».
Ma non è che la destra abbia fatto un’operazione più degna e onesta nascondendo dietro la venerazione per la più famosa vittima della giustizia italiana un’idolatria per la giustizia all’ingrosso e per il panpenalismo classista e razzista, che è l’altra faccia di quel garantismo galantomistico – un diritto penale buono con i buoni e cattivo con i cattivi – che a Tortora faceva letteralmente orrore, quanto l’inclinazione oscenamente “combattente” della legislazione e della giurisdizione penale, qualunque fosse il fine o la giustificazione della battaglia.
Manca solo la trasformazione di Tortora nel santo patrono di una destra la cui cultura della giustizia è tutta nell’intima gioia eccitata nel sottosegretario Andrea Delmastro dall’immagine dei detenuti che soffocano nei blindati della polizia penitenziaria.
Manca solo di intestargli il lamentoso vittimismo di chi scopre lo scandalo della custodia cautelare, della presunzione sociale di colpevolezza, dei processi per “pentito dire” e dell’ordalia mediatica quando a finirne vittima, come direbbe il retequattrista collettivo, sono le persone perbene e non i “veri delinquenti”.