L’anno della giustiziaLe poco conosciute origini ebraiche del Giubileo cattolico

In “Il primo giorno di un mondo nuovo” (Raffaello Cortina editore) Vincenzo Paglia spiega come questa istituzione che affonda le sue radici nella tradizione ebraica, nata per restaurare uguaglianza e fraternità nel popolo di Israele, attraverso misure come la liberazione degli schiavi e la cancellazione dei debiti, sia stata adottata e reinterpretata dalla Chiesa cattolica

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È bene fare almeno un cenno alla storia del Giubileo, che affonda le radici nella tradizione ebraica. Nel libro dell’Esodo si riportano le parole che Dio rivolse a Mosè mentre stava davanti al roveto ardente: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». (3,7-8).

Dopo l’uscita dall’Egitto, il popolo di Israele cammina per quaranta lunghi anni nel deserto sino a che non giunge nella “terra promessa”: qui avrebbe potuto insediarsi e vivere nella libertà e secondo la Legge divina. Entrati nella terra che il Signore aveva loro promesso – dove dovettero affrontare non poche difficoltà e battaglie – gli ebrei vi si insediarono. E avvenne poi la divisione della terra tra le dodici tribù di Israele, come Dio aveva detto a Mosè: «Dividerete la terra a sorte secondo le vostre famiglie. A chi è numeroso darai numerosa eredità e a chi è piccolo darai una piccola eredità. Ognuno avrà quello che gli sarà toccato in sorte; farete la divisione secondo le tribù dei vostri padri». (Nm 33,54).

Già in queste pochissime battute si comprende la volontà di Dio che ciascuno ricevesse secondo il suo bisogno. E potesse così vivere nella prosperità e nella pace. Purtroppo, successivamente all’insediamento, iniziarono ad apparire nella società ebraica ingiustizie e sopraffazioni che tradivano il disegno di Dio di una vita giusta e serena per tutto il suo popolo. Di fronte all’allargarsi delle sopraffazioni, venne stabilito il Giubileo, ossia un tempo nel quale si dovevano restaurare la fraternità e l’uguaglianza stabilite al momento dell’insediamento. Era un tempo nel quale il popolo di Israele doveva riprendere a vivere con il sogno e lo slancio dell’inizio. Il Giubileo si celebrava ogni quarantanove anni. La periodizzazione si basava sul metro settimanale: ogni sette settimane di anni veniva celebrato l’anno giubilare.

Così si legge nel libro del Levitico: «E santificherete il cinquantesimo anno, e proclamerete la liberazione nel paese di tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un Giubileo; ognuno di voi tornerà nella propria proprietà, e ognuno di voi tornerà nella propria famiglia». (25,10)- E nel libro dell’Esodo si prescrive: «Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma al settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e i loro avanzi saranno divorati dalle bestie della campagna. Così farai per la vigna e per il tuo oliveto. Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma al settimo giorno farai riposo, perché possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino, e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero». (23,10-12). E più avanti il Deuteronomio stabilisce: «Quando vi sarà in mezzo a te qualcuno dei tuoi fratelli che sia bisognoso in una delle tue città […] non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso. (15,7).

La celebrazione del Giubileo (così chiamato perché la sua apertura era annunciata dal suono della tromba, Jobel) durava un intero anno, nel corso del quale tutti gli abitanti del paese – e persino la terra – venivano liberati da qualsiasi genere di schiavitù e sopraffazione dell’uomo sull’altro uomo e sulla stessa natura. In quell’anno le terre dovevano rimanere incolte (una pratica ecologica resa necessaria dalla perdita di fertilità del suolo in seguito a un eccessivo sfruttamento), ognuno rientrava in possesso del proprio patrimonio, ai debitori si cancellavano i debiti e gli schiavi venivano liberati.

Insomma, era l’anno della giustizia, del ripensamento del proprio operato. Bisognava fermarsi, tracciando una sorta di linea ideale che permetteva a tutti di iniziare nuovamente l’esistenza su una base di uguaglianza. Si trattava di una vera e propria cesura storica: si interrompevano le frenesie di possesso. Era necessario abbandonare comportamenti segnati da ingiustizie e prevaricazioni e convertirsi nuovamente al Signore e al suo disegno di unità e uguaglianza fra tutto il popolo. Bisognava riprendere il cammino così come Dio lo aveva voluto e guidato all’inizio. Non sappiamo se ciò si sia effettivamente realizzato. Comunque non c’è dubbio che anche solo l’utopia di questa istituzione aveva – e ha ancora oggi – un suo fascino. Al di là della sua effettiva realizzazione, il Giubileo ci dice comunque qual è la volontà di Dio per il suo popolo. Per tutti i popoli. Che sia una prospettiva utopica, è evidente. Resta comunque il sogno di Dio sul mondo.

Potremmo chiederci perché questa istituzione, tipicamente ebraica, sia stata accolta anche dai cristiani. Il Giubileo che stiamo celebrando è un’iniziativa della Chiesa cattolica, neppure di tutte le denominazioni cristiane. Com’è avvenuto che la Chiesa cattolica l’abbia posta come uno dei suoi momenti significativi?

Senza dubbio l’attuale Giubileo è un’iniziativa cattolica. Ma non è solo per i cattolici o solo per i cristiani. Nel Giubileo – lo dice chiaramente papa Francesco – c’è l’inizio di una realizzazione del futuro del mondo: la fraternità universale fra tutti i popoli. È il sogno stesso di Dio che la Chiesa fa proprio e che propone al mondo intero. Tutti i popoli della terra sono chiamati a incamminarsi verso la destinazione comune: quella di una fraternità universale che non escluda nessuno ma che includa tutti senza eccezione alcuna. L’anno santo è l’inizio di una nuova storia che vuole fin dal primo giorno abolire ogni diseguaglianza, ogni ingiustizia. Tutti possiamo ripartire per rendere bella la nostra casa comune (il pianeta), per rendere fratelli tutti i popoli che la abitano e per imbandire una mensa comune perché tutti possano vivere con dignità, con libertà e con amore.

Tratto da “Il primo giorno di un mondo nuovo”, di Vincenzo Paglia, Raffaello Cortina editore, 192 pagine, 13,30 euro

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