Liturgia ambrosianaRiuscirà il Comune di Milano a chiudere la saga infinita del Leoncavallo?

Sono arrivate a centotrentuno le ingiunzioni di sfratto per lo storico centro occupato di via Watteau. Nell’ultimo periodo, la giunta Sala è al lavoro per trovare una sede alternativa, mentre il centrodestra locale per la chiusura definitiva

LaPresse

Prosegue la lunga saga legale del Leoncavallo, il centro sociale che da oltre trent’anni occupa gli spazi di un’ex cartiera in via Watteau 7, a Milano, di proprietà della famiglia Cabassi. L’esecuzione di sfratto prevista per venerdì 24 gennaio – la centotrentunesima da quando è stata avviata la causa civile dal Tribunale di Milano nei confronti dell’Associazione delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, nel marzo del 2003 – si è conclusa con la decisione dell’ufficiale giudiziario di rinviare lo sgombero dello stabile al 19 marzo, con la precisazione che dopo quella data non saranno emessi ulteriori avvisi. E così, dopo quasi mezzo secolo dalla sua fondazione, lo storico spazio autogestito milanese rischia (ancora una volta) di chiudere. A meno che non vengano trovate soluzioni percorribili in poco tempo.

Della ricerca di soluzioni si è incaricato Palazzo Marino in queste settimane – dopo il placet per una regolarizzazione del centro sociale fatto dal sindaco Beppe Sala a novembre. Stando a quanto riportato dal quotidiano Il Giorno, lo scorso 20 gennaio, nel corso di un vertice a Palazzo Diotti tra il Comune, la Prefettura, le forze dell’ordine e l’Avvocatura di Stato, sarebbe stata presentata l’ipotesi di un trasferimento del Leoncavallo lontano da via Watteau, con conseguente regolarizzazione dell’attività. Tra le papabili destinazioni individuate dagli interlocutori, ci sarebbe un magazzino abbandonato in via San Dionigi 117 (in zona Porto di Mare), di proprietà del Comune. Al tavolo di dialogo, però, non sono stati invitati né i rappresentanti del Leoncavallo né tantomeno quelli della famiglia Cabassi.

«A quel vertice mancavano le due principali parti in causa. Mi sembra che questo voglia dire che non si guardi a una soluzione nell’area di via Watteau», ha detto a Linkiesta Daniele Farina, storico attivista del Leoncavallo ed ex deputato indipendente di Rifondazione comunista. «È a dir poco surreale che lungo i trent’anni di storia in via Watteau e i cinquant’anni dalla nascita dello spazio pubblico, le varie amministrazioni milanesi non abbiano trovato il tempo, il modo e il luogo per risolvere questa situazione», ha aggiunto. Fallimentari, infatti, le proposte della giunta guidata dal sindaco Giuliano Pisapia nel 2014 – che avanzava l’idea di una permuta di aree tra il Comune e i Cabassi – e di quella dello stesso Beppe Sala nel 2018 – favorevole a uno scambio di volumetrie con la famiglia proprietaria dell’immobile occupato. 

L’ipotesi di via San Dionigi, però, rimane per il momento solo un’ipotesi. E peraltro non priva di problemi, dal momento che la copertura dell’edificio in questione è composta da amianto: motivo per cui, sebbene non risultino pericoli di dispersione nell’aria della fibra tossica, sarà necessario intervenire per mettere in sicurezza la zona. A quel punto occorrerà capire a chi spetteranno i costi: difficilmente l’onere ricadrà sull’Associazione delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, in quanto priva di fondi da stanziare per le operazioni di bonifica.

Sulla fattibilità del trasloco, inoltre, dal Comune non emergono segnali di certezza. L’ufficio stampa dell’assessore comunale alla Rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi – coinvolto nell’affaire Leoncavallo assieme al Direttore Generale dell’amministrazione Christian Malangone – si è limitato a «non confermare né smentire» la possibilità della pista via San Dionigi. L’idea, comunque, è quella di venirne a una entro l’estate per scongiurare lo spettro dello sgombero definitivo. 

Il fattore tempo è diventato decisivo per i leoncavallini da quando lo scorso 9 ottobre la Corte d’Appello di Milano ha condannato il ministero dell’Interno a pagare tre milioni di euro alla famiglia Cabassi, proprietaria dello stabile. Secondo i giudici, il Viminale è colpevole di non aver eseguito lo sgombero dello spazio autogestito di via Watteau per oltre diciannove anni e pertanto è tenuto a risarcire il danno al privato. Il 9 dicembre, però, è arrivato lo scaricabile dello Stato sul centro sociale: tramite una raccomandata, il Viminale ha notificato agli occupanti che se obbligato a pagare si rivarrà su di loro. Di qui l’urgenza di trovare una soluzione in tempi rapidi, anche perché la sentenza della Corte d’Appello è già esecutiva e quasi sicuramente non sarà impugnata in Cassazione.

«È indispensabile sfruttare il tempo a disposizione per trovare una soluzione che permetta al Leoncavallo di continuare a esistere come luogo di aggregazione libero dal profitto in una città dove sembra che per socializzare sia necessario spendere», ha detto Luca Stanzione, Segretario Generale della Cgil. «Il Leoncavallo è una risorsa per Milano e un anticorpo indispensabile contro le forze antidemocratiche nel nostro Paese, specie in un momento di forte securitarismo politico come quello che stiamo vivendo», ha aggiunto. 

Ma c’è chi non la pensa così. Secondo Marco Bestetti, Consigliere di Fratelli d’Italia in Regione Lombardia ed ex Consigliere comunale a Milano, «il Leoncavallo è protagonista da decenni di illegalità sotto tutti i punti di vista: civile, penale e fiscale. I suoi occupanti calpestano ogni norma e ogni regolamento e sono impuniti da decenni. Pertanto, quel centro sociale va chiuso. Il Comune prevede per questi protagonisti dell’illegalità un percorso di regolarizzazione o una sanatoria mascherata, e il trasferimento del centro sociale in un altro ipotetico immobile comunale: per noi è una soluzione totalmente inaccettabile».

Bestetti ha poi aggiunto che dietro la manifestazione di interesse del Comune nei confronti della causa del Leoncavallo ci sia la volontà della giunta di portarsi avanti con la campagna elettorale della primavera 2027. «Sono assolutamente convinto che se io prendessi singolarmente le figure del Comune coinvolte in questa vicenda, tutti mi direbbero sottovoce che è una porcata. È evidente però che per convenienza politica siano costretti a tenersi buoni questi mondi della sinistra più radicale, che non possono permettersi di inimicarsi. Sicuramente c’è una componente importante di interesse politico ed elettorale che impone loro di fare queste scelte», ha detto. 

Sulle paure della destra milanese scherza la sinistra. «La persecuzione che ne fa la destra andrebbe interpretata sul piano psicoanalitico, più che politico, perché siamo di fronte a un’ossessione da curare. Io credo che il centro sociale Leoncavallo sia un’esperienza di storia della sinistra estrema milanese, della galassia dei centri sociali, ma non rappresenti affatto un problema per la città», ha detto Pierfrancesco Majorino, Capogruppo del Partito Democratico in Regione Lombardia, che in passato ha ricoperto incarichi politici in Comune. «Il Leoncavallo è una realtà vitale, lo è stata per tanto tempo sul piano culturale e creativo. Ora bisogna trovare uno sbocco nella legalità e mi pare che il Comune stia lavorando in questa direzione», ha aggiunto.

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