Voto farsa La riconferma di Lukashenko in Bielorussia, e le reazioni dell’Unione europea

Il vassallo di Putin, senza opposizioni, ha vinto le elezioni presidenziali di domenica 26 gennaio. Kaja Kallas ha annunciato il mantenimento e l’inasprimento delle sanzioni contro il regime bielorusso

AP Photo/LaPresse (ph. Pavel Bednyakov)

Aleksandr Lukashenko, spesso definito «ultimo dittatore d’Europa» o «vassallo di Putin», ha vinto le presidenziali in Bielorussia con l’87,6 per cento dei voti e circa l’ottanta per cento di affluenza, stando ai primi exit poll ufficiali. In carica dal luglio 1994, l’autocrate settantenne ha formalmente battuto quattro candidati dell’opposizione – in realtà fedelissimi al presidente – all’interno di una elezione dall’esito scontato. 

La sua riconferma non è stata riconosciuta né dal Regno Unito, né dall’Unione europea. Quest’ultima ha annunciato il mantenimento di «misure restrittive e mirate contro il regime» bielorusso. Kaja Kallas, ex prima ministra estone e alta rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, ha detto che le «elezioni di oggi (ieri, ndr) non sono state né libere, né giuste. La repressione implacabile e senza precedenti dei diritti umani, le restrizioni alla partecipazione politica e all’accesso ai media indipendenti in Bielorussia hanno privato il processo elettorale di qualsiasi legittimità». 

Kallas e Marta Kos, commissaria europea per l’Allargamento, hanno poi esortato il governo bielorusso a rilasciare i prigionieri politici: sarebbero più di mille, tra cui un dipendente della delegazione di Bruxelles a Minsk. «Il popolo bielorusso non ha avuto scelta. Al posto di elezioni libere ed eque e di una vita senza paura e arbitrarietà, sperimenta quotidianamente oppressione, repressione e violazioni dei diritti umani», ha scritto invece Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca. Secondo Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, la «democrazia prevarrà. Il mio messaggio al popolo bielorusso è: siate forti, vi sosteniamo, il tempo della dittatura finirà». 

A differenza dell’ultima tornata elettorale, caratterizzata dall’ondata di proteste contro i brogli, questa volta l’opposizione è stata soffocata fin dal principio. Lukashenko, che domenica mattina ha definito quella bielorussa una «democrazia brutale», ha scelto come rivali quattro avversari innocui e adeguatamente selezionati; anche la decisione di andare al voto in pieno inverno, e non ad agosto come nel 2020, è stata presa per disincentivare eventuali manifestazioni di massa. 

Nel 2020, il sostegno del presidente russo Vladimir Putin si rivelò fondamentale per Lukashenko durante le proteste, terminate con un bollettino da almeno cinque morti, cinquanta persone scomparse e quattrocentocinquanta casi di tortura. Inoltre, più di cinquecentomila persone sono fuggite dal Paese. «Tutta questa faccenda (le proteste contro Lukashenko, ndr) è stata repressa così duramente che al momento è impossibile fare qualsiasi cosa all’interno del Paese. Se esci e inizi a protestare, verrai messo in prigione. Forse un giorno uscirai. Forse no», ha detto Art Balenok, attivista bielorusso che vive in Austria, a Politico Europe.

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