I pasdaran sono convinti di aver pescato il biglietto vincente della lotteria, niente di meglio che fare le vittime innocenti di una magistratura di sinistra: un remake del vecchio film berlusconiano, un “Rambo 2 – La vendetta” che come tutti i sequel non eguaglia l’originale. Da ogni angolo di talk show fino ai capannelli nel Transatlantico, meloniani di ogni ordine e grado – deputati, giornalisti e portaborse – sentono di aver fatto un gol pesante, di quelli che spaccano la partita.
Può essere, ma è più probabile che il tempo dirà che Giorgia Meloni oggi sta sbagliando. Perché, per quanto sembri paradossale, non sa leggere la ragione vera del suo consenso che sta nell’imitare Giulio Andreotti, non Silvio Berlusconi. Gli italiani mostrano di apprezzare la stabilità come condizione decisiva in grado di evitare i soliti nervosismi politici (di cui è maestro il centrosinistra, che infatti viene punito anche per questo) e la relativa tranquillità di una navigazione sotto costa capace di risparmiare al Paese il rischio di infrangersi sugli scogli.
In altre parole, la presidente del Consiglio rischia parecchio se si è messa in testa di indossare i panni dell’artificiere. Quello lo sapeva fare il vecchio Silvio, che però era di un’altra pasta, era uno che aveva bisogno di sentire l’odore del napalm al mattino e divideva il Paese contando sulla forza clamorosa dei suoi mezzi politici e materiali: e poi era un’altra fase della storia politica.
Meloni sta andando bene perché alla fine dà l’idea che tutto s’aggiusta e che le teste più calde che pure nel governo non mancano non sono in grado di avvelenare i pozzi, ci pensa lei, al dunque, con gli Alfredo Mantovano e i Guido Crosetto, a manovrare la politica nel verso gradito.
Se invece si presenta in televisione sventolando la notifica dei magistrati, peraltro chiamandola impropriamente avviso di garanzia, accusando il procuratore Francesco Lo Voi di aver fallito l’attacco giudiziario a Matteo Salvini, e definendo l’autore dell’esposto Luigi Li Gotti «un amico di Prodi» mentre si tratta di un ex missino poi dipietrista, se fa tutta questa scena ecco che Meloni fa Berlusconi, lo ricordiamo tutti dal balcone di via del Plebiscito il suo «io non mollo»: ma così facendo, per seguire il suo istinto rissaiolo, appare una Berlusconi in minore, una bambina arrabbiata laddove Silvio era un gagliardo imprenditore di successo.
Tutto questo fa infuriare la metà o quasi del Paese che è contro di lei, e non conquista l’Italia tranquilla che l’ha votata ma non certo per fare una nuova guerra di religione. Un azzardo strategico e d’immagine, dunque, probabilmente determinato da quella sindrome dell’assedio da cui la presidente del Consiglio ha già dimostrato di non essere immune, combinata con l’istintivo vittimismo dell’underdog tenuto per anni fuori dal piano nobile della politica: appunto, segue l’istinto e non la ragione.
Poi, va da sé, tutta questa sarabanda mediatico-politica serve per cercare di occultare il vero problema della questione, e cioè l’assurda liberazione del criminale Almasri, probabilmente scattata per onorare un debito con il suddetto e avvenuta grazie alla penosa concatenazione di atti, o mancati atti, del governo.
Le opposizioni, ieri, hanno fatto di tutto per reclamare che il governo rispondesse, ma non c’è stato niente da fare, con il risultato che il Parlamento è bloccato in attesa che Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi si inventino qualcosa da dire tra pochi giorni in Aula. Al massimo, la scena melodrammatica della presidente del Consiglio avrà fatto guadagnare qualche giorno. Oltre a inimicarsi la magistratura italiana, che non è mai un buon affare e non sarà cosa gradita al Capo dello Stato, e a innervosire il Paese, che lo è ancora meno.