La vita è coloreOliviero Toscani e il segreto della creatività

Il celebre fotografo aveva ottantadue anni. Soffriva di amiloidosi ed era ricoverato da venerdì a Cecina per l’aggravarsi delle condizioni di salute

Lapresse

Oliviero Toscani era pura vita, a volte la vita è una stronza. La morte è coerente, la vita si contraddice sempre. Toscani odiava il concetto di famiglia, nella grande cucina della sua tenuta tra i colli di Casale Marittimo scorrazzavano i nipoti. Tendenzialmente misantropo, il suo progetto più ambizioso si chiama “Razza umana”, una sterminata moltitudine di ritratti per afferrare l’inafferrabile: la singolarità. Diceva: «Bisogna essere pronti a morire per il popolo. Ma non ci si può vivere insieme». Diceva che solo dalla provincia profonda può venire qualcosa di buono, solo dalla rabbia per essere tagliati fuori dal mondo. Lui era nato a Milano. Nel 1942, tra le sirene antiaeree e le bombe alleate. Aveva già un curriculum da fotoreporter di guerra. Ma diceva che si sarebbe annoiato. Diceva: «Un buon fotografo deve essere sceneggiatore, regista, costumista, scenografo, tecnico degli effetti speciali. I fotografi di guerra arrivano lì ed è già tutto pronto».

Forse solo la noia gli faceva paura. Non si annoiava mai. Diceva: «Finché, guardando il cielo, non noterò due nuvole identiche, io continuerò a osservare, fiducioso che qualcosa mi cadrà in testa». I romanzi lo annoiavano, gli piacevano le foto, gli aforismi, tutto ciò che scatta.

Una volta stava sorvolando la Norvegia su un DC-3, un motore prese fuoco, tutti urlavano, lui scoppiò a ridere. Perché la vita non è mica una cosa seria.

Naturalmente la vita è colore. Pochi anni fa, durante la presentazione del restyling di un settimanale, Toscani analizzò i redattori e poi disse: «Siete tutti vestiti di nero. Come pensate che vi venga qualche idea interessante, che sembrate dei beccamorti?». La vita è geniale. Ma lo è così, a cazzo. «Se ti metti lì a cercare un’idea, vuol dire che non ci hai capito niente di come funziona la creatività». Non era una boutade, per lui era uno stile di vita, una fede, un dogma. Un sito archeologico della Magna Grecia gli aveva chiesto di inventarsi qualcosa per promuoverlo. A Toscani era venuto in mente di riempirlo di nani. Una sua collaboratrice ragionò qualche secondo, prese fiato, e gli disse: «Ma, Oliviero, perché proprio i nani?». «Perché?», sbottò lui, «che cazzo di domanda è perché? Ma allora non ti ho insegnato un cazzo!».

Un suo caro amico, che aveva fondato un marchio di abbigliamento outdoor, era un appassionato di sport estremi nella natura. E Toscani gli ripeteva: «Attento, la natura è una stronza, la vita è una stronza». Quell’amico gli rispondeva che invece la natura andava solo rispettata. Quell’amico morì attraversando in kayak un lago sudamericano. Poi Toscani continuava a ripetere: «Gliel’avevo detto, che era una stronza». È vero, ma a volte è bellissima. Toscani diceva che la bellezza non è bella.

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