Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Anno nuovo, vecchi problemi, nuove soluzioni da percorrere. Uno dei temi più approfonditi su questi canali è il peggioramento del trasporto pubblico italiano, a livello locale e nazionale. È un argomento fortemente connesso alle questioni climatiche e ambientali, anche perché il malfunzionamento dei mezzi si traduce in una maggior dipendenza dall’automobile privata: inquinante, inefficiente (può trasportare contemporaneamente pochissime persone, occupa tantissimo spazio e resta parcheggiata per il novantacinque per cento del tempo), spesso pericolosa e sempre più costosa.
Nonostante il solito gap tra Nord e Sud, questa regressione sta toccando anche i territori teoricamente più ricchi e produttivi del Paese. Sì, sto parlando di Milano, la città dalle ambizioni europee e gli stipendi italiani, che di recente ha inaugurato una efficientissima ma costosissima nuova linea della metropolitana: è la M4, che collega l’aeroporto di Linate (zona est) a San Cristoforo (zona ovest), passando per il centro cittadino. Il problema del capoluogo lombardo non è tanto il trasporto sotterraneo, che funziona indubbiamente bene, ma quello di superficie con i tram, i filobus e gli autobus.
Nel marzo 2023 pubblicavo su Linkiesta un lungo approfondimento, con interviste a sindacalisti e conducenti Atm (Azienda trasporti milanesi), dal titolo: “La lenta ma progressiva involuzione del trasporto pubblico a Milano”. Da allora, nulla è cambiato. Anzi. Le cause dello stato dei mezzi di superficie in città sono tutte in quell’articolo, ma un ripasso è doveroso.
Iniziamo con il dato cardine: Atm, società partecipata al cento per cento dal Comune di Milano, ha bisogno di almeno trecentocinquanta autisti in più. La carenza di organico è dovuta principalmente agli stipendi bassi, stagnanti e incompatibili con l’aumento del costo della vita in città. È un problema europeo (ci sono centocinquemila posizioni di autisti scoperte in tutto il continente, di cui diecimila in Italia) ma particolarmente doloroso in un Paese come il nostro, dove i salari non crescono e le disuguaglianze si moltiplicano.
La pandemia e la crisi energetica hanno avuto un impatto fortissimo sui conti di Atm, che riesce a galleggiare grazie ai suoi investimenti all’estero. L’aumento delle spese del trasporto pubblico locale (Tpl) – a Milano sono raddoppiate nel giro di sei anni – non è accompagnato da un incremento degli incassi dai biglietti. Inoltre, i fondi stanziati dal governo centrale per il Tpl sono sempre meno, nonostante i costi di gestione siano lievitati (anche) per via della nuova linea della metropolitana: da Roma, attraverso la Regione, nel 2019 arrivavano 267,5 milioni, mentre nel 2025 il Comune di Milano incasserà dall’esecutivo solo 263,8 milioni.
La somma di questi fattori ha costretto Atm a tagliare le corse di tram e autobus. Le «rimodulazioni», a partire dall’ottobre 2023, hanno toccato novanta linee su centotrenta. Qualcosa è cambiato nel giro di pochissimo tempo. I dati confermano le sensazioni dei cittadini, costretti ad attese superiori ai dieci minuti anche negli orari di punta dei giorni lavorativi.
Stando a un report indipendente del Laboratorio di Politica dei Trasporti (Traspol) del Politecnico di Milano, dal 2016 al 2024 la rete di superficie milanese ha vissuto una contrazione del quindici-venti per cento. I tagli, che in alcuni casi hanno raggiunto il trenta-cinquanta per cento, hanno riguardato soprattutto i tram, la cui frequenza «è stata ridotta in maniera generalizzata» e sulla maggior parte del territorio comunale (non solo nei quartieri coinvolti dai lavori della M4).
Finora abbiamo parlato di problemi e responsabilità, che – come in tutte le questioni complesse – sono condivise tra la politica locale, regionale e nazionale. Parallelamente, bisogna anche sottolineare e approfondire le soluzioni, spesso confinate ai margini del dibattito pubblico. E, secondo il Laboratorio Traspol del Politecnico di Milano, quella più sottovalutata è l’aumento della “velocità commerciale” dei mezzi di superficie: «È un aspetto estremamente rilevante, finora omesso dal ventaglio di strumenti», si legge nel report sopracitato.
La velocità commerciale non è altro che la velocità media di una linea, da capolinea a capolinea, e quella dei trasporti di superficie milanesi è troppo bassa. I lunghi tempi d’attesa nascono anche da qui. Stando a una ricerca «in corso» del Marron institute of urban management dell’Università di New York, che ha analizzato trentatré linee nordamericane ed europee, la rete meneghina è più veloce solo di quelle di Parigi, Londra, Roma, New York e San Francisco. Ci sono tante città italiane, come Bologna, che raggiungono performance migliori con lo stesso codice della strada.
Secondo il Laboratorio Traspol del Politecnico, il tram più veloce di Milano è il 5 (tredici chilometri orari di media) e il più lento è il 9 (9,3 chilometri orari), che corre in corsia riservata nella maggior parte del percorso. La velocità media di bus e filobus oscilla invece tra i dieci e i 12,5 chilometri orari. A rendere i mezzi di superficie meneghini così lenti non sono tanto le caratteristiche o l’età dei veicoli, bensì la vicinanza tra le fermate e l’assenza di semafori che diano priorità al trasporto pubblico. Anche il traffico ha un ruolo, ma non così rilevante, perché la velocità commerciale risulta bassa anche di notte.
Milano, stando al report del PoliMi, deve lavorare per aumentare la velocità commerciale dei suoi bus, filobus e tram, incrementando «la produttività per ora lavorata del personale alla guida dei mezzi di superficie». Sembra la strategia ideale per ovviare – già nel breve periodo – alla carenza di conducenti, perché avere una rete più veloce significa poter percorrere più chilometri a parità di forza lavoro. In linea di principio, recita il documento, il conducente dovrebbe essere «pagato di più attraverso il contratto integrativo. Dunque, non solo un autista farebbe più corse, con un aumento dell’offerta, ma il lavoro dell’autista sarebbe anche più appetibile perché meglio pagato», colmando la carenza di organico e rendendo i passeggeri più soddisfatti.
Aumentare la velocità commerciale è difficile ma possibile attraverso un mix di strategie. Tra queste spicca l’introduzione dell’asservimento semaforico, comunemente chiamato “semaforo intelligente”, ossia un dispositivo che permette a tram e autobus di avere una specie di onda verde privilegiata rispetto agli altri veicoli, allineando i cicli semaforici al passaggio dei mezzi. Da non sottovalutare la riduzione del numero di fermate, che in alcune zone sono inutilmente vicine tra loro; l’uso di veicoli più adatti (pianale ribassato, porte grandi); l’aumento delle corsie riservate.
A farmi riflettere è stata soprattutto la questione dei semafori, che rispecchiano l’impostazione “autocentrica” delle nostre città. In Italia abbiamo un sistema semaforico che incentiva i mezzi a motore ad accelerare, mentre le persone a piedi restano in attesa al rosso anche quando le strade sono vuote. «In Italia, i semafori sono tradizionalmente impostati in base alle esigenze dell’automobile. I tempi di attraversamento nelle fasi semaforiche devono essere sensati e calibrati a seconda della situazione», mi raccontava l’architetto e urbanista Federico Parolotto, Ceo di Mic-Hub, un paio d’anni fa. Insomma, la mobilità sostenibile riparta dai semafori (semi-cit)!