Tra Città 30, piazze aperte, pedonalizzazioni, corsie ciclabili e nuovi divieti per la circolazione dei mezzi inquinanti, la direzione dell’amministrazione Sala a Milano è ben chiara (e in linea con l’evoluzione dei grandi centri urbani europei, da Londra a Parigi): rendere il capoluogo lombardo a misura di persona, fornendo ai cittadini sempre più alternative all’automobile privata. Per raggiungere questi obiettivi è poi cruciale un potenziamento del trasporto pubblico locale, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi. Un fenomeno che a Milano, almeno per quanto riguarda i mezzi di superficie, non si sta verificando.
Premessa necessaria: al di là degli scioperi (l’ultimo è avvenuto ieri, 8 marzo), degli inconvenienti e dei problemi nelle periferie, non si può dire che a Milano i mezzi non funzionino. La rete tranviaria, contraddistinta da diciassette linee, è la più estesa d’Italia. Ci sono inoltre cinque linee della metropolitana (il primo tratto della M4 è stato inaugurato a fine novembre 2022) e il passante ferroviario di Trenord, quattro linee di filobus e più di ottanta linee di autobus. Tutto ciò al servizio di una città relativamente piccola, con una superficie di circa 181 chilometri quadrati (senza contare l’immenso hinterland).
Qualcosa, però, inizia a scricchiolare, allontanando Milano dalle eccellenze continentali. A gennaio è scattato l’aumento del biglietto dei mezzi da due euro a 2,20 (gli abbonamenti sono rimasti invariati), e molti cittadini hanno vissuto questo cambiamento con enorme disagio: sia per un discorso economico, sia perché la novità non è stata accompagnata da un miglioramento evidente del servizio.
Il trasporto pubblico di Milano è in mano ad Atm (Azienda trasporti milanesi), Società per Azioni interamente partecipata dal Comune. Fondata nel 1931, è storicamente un’azienda ambita dai lavoratori del settore e vanta una reputazione positiva tra i cittadini. Tuttavia, da tre anni a questa parte sta vivendo il momento più complesso della sua storia recente, per tre motivi principali: aumento dei costi, riduzione della domanda e carenza di conducenti.
Il terzo problema, come specificheremo più avanti, è dovuto a stipendi bassi (circa milleduecento euro al mese per un autista che guida un autobus) che, nonostante il caro vita, non accennano ad aumentare. Le conseguenze si concretizzano in dimissioni sempre più frequenti, dipendenti scontenti e sindacati sul piede di guerra. Tutto ciò va inserito in un quadro in cui, rispetto al “pre-Covid”, il numero di passeggeri è ancora inferiore del venti per cento. Prima della pandemia, secondo quanto annunciato dal sindaco Beppe Sala, Atm aveva una copertura dei ricavi da biglietti e abbonamenti che raggiungeva il cinquanta per cento, mentre ora la cifra è lievemente superiore al quaranta.
Dov’è andata a finire la fetta di cittadinanza che non prende più i mezzi? Gira in bicicletta, resta a casa in smart working o si sposta a bordo di un’automobile. A Milano, infatti, il traffico motorizzato non accenna a diminuire: basti pensare che, secondo l’Agenzia per la mobilità e l’ambiente del Comune, tra il 12 e il 22 dicembre 2022 l’indice di congestione nelle strade è risultato superiore del trenta per cento rispetto alle giornate standard del 2019.
Costi in aumento, tagli delle corse e nessun margine per migliorare il servizio
La “rimodulazione” di trentatré linee in vigore dal 30 gennaio ha portato un taglio del tre per cento delle corse. Una cifra molto bassa, ma non coerente con gli ambiziosi obiettivi di una metropoli europea. Secondo Repubblica, il Comune avrebbe in programma anche un nuovo piano (da far partire ad aprile) per ridurre le frequenze delle metropolitane e dei mezzi di superficie, aumentando inevitabilmente i tempi di attesa. Interpellato da Linkiesta, l’ufficio stampa di Arianna Censi, assessora alla Mobilità del Comune di Milano, non ha né confermato né smentito la notizia: «Non commentiamo».
A Palazzo Marino, aggiungono dall’assessorato, è in corso una delicata fase di confronti e valutazioni, anche alla luce dell’apertura – programmata per fine giugno – della M4 a San Babila: nella tratta coperta dalla nuova metro i mezzi di superficie verranno razionalizzati, onde evitare sovrapposizioni di corse.
Il problema, però, è che potrebbero essere coinvolti anche tram o bus estranei al percorso della M4. In quest’ottica, secondo quanto appreso da Linkiesta, sono state prese in esame anche altre linee per capire se eliminare sovrapposizioni o fare modifiche senza incidere troppo sulla quotidianità dei milanesi, partendo – in via ipotetica – dalle tratte e dagli orari meno frequentati. Secondo il sindaco Beppe Sala si tratterà in ogni caso di «rimodulazioni leggere».
La situazione in cui si trova il Comune rimane scomoda. Atm deve ancora riprendersi dalle perdite del primo anno di pandemia (rosso di 64,5 milioni) e i costi energetici e di gestione sono in salita. Al momento, non c’è margine per migliorare il servizio ed è necessario limitare i danni. Nel 2023 la nuova metropolitana, la M4 blu, peserà sulle casse del Comune circa quarantadue milioni euro in più, e a pieno regime (2024 o 2025) verrà toccata quota cento milioni. Questi problemi economici, secondo Palazzo Marino, sono connessi anche a uno scarso supporto da parte di Regione Lombardia.
Milano ha sempre trovato fondi autonomi per finanziare i mezzi pubblici, ma la pandemia e la crisi energetica hanno cambiato le carte in tavola. L’aumento del biglietto a 2,20 euro è frutto di un adeguamento Istat per il trasporto pubblico, ma quei soldi non coprono i costi di servizio sempre più elevati. Dal governo, attraverso la Regione, arrivano attualmente 262,7 milioni, e nel 2011 questi “aiuti” erano superiori (287,5 milioni). Facendo un rapido calcolo, oggi si contano 24,8 milioni in meno a fronte di quasi ventisette chilometri in più di solo trasporto sotterraneo. E le risorse sono destinate a diminuire ancora, seppur lievemente, nel 2024.
In piena crisi energetica, non sono dati confortanti: «Siamo in una situazione di grandissimo incremento dei costi, dovendo affrontare una quadruplicazione del costo dell’energia elettrica. Da quarantacinque milioni di euro, cifra che pagheremo quest’anno con i contratti vecchi fatti nel 2021, Atm dovrà caricarsi sulle spalle una bolletta da centosettanta milioni di euro per la stessa quantità di energia elettrica. È un incremento incredibile che l’azienda non riesce a gestire», ha detto Arrigo Giana, amministratore delegato di Atm, a fine dicembre 2022.
Stipendi bassi, carenza di autisti e dimissioni
I problemi di Atm non sono solo di natura economica, ma anche occupazionali e di soddisfazione di una buona parte di lavoratori. La barriera all’ingresso è il costo delle patenti (su cui Atm non ha responsabilità) necessarie per fare domanda di assunzione: si va da un minimo di tremila a un massimo di cinquemila euro totali. Superato questo scoglio, gli autisti si trovano spesso davanti a stipendi bassi, contratti inadeguati e turni stancanti (anche notturni). In più, non bisogna sottovalutare la responsabilità civile e penale di un conducente, che ha sulle spalle l’incolumità di decine e decine di passeggeri.
«Da una parte Atm rimane un’azienda ambita. Indubbiamente, però, fa fatica a trovare personale: le nuove assunzioni avvengono con un parametro molto basso e si guadagna meno. I contratti nazionali di riferimento non sono all’altezza e non sono parametrati al costo della vita», racconta a Linkiesta Luca Pistoia di Usb (Unione sindacale di base).
«Ogni deposito – ci spiega un conducente Atm – ha un ufficio orari con degli addetti che organizzano i turni: a volte non sanno come coprire i buchi. Chi fa questo lavoro da venti o trent’anni è scontento: tante cose sono state tolte, i turni sono stati allungati e la media oraria settimanale è più estesa, ma lo stipendio è rimasto quello. Resta il fatto che manca personale: se ti candidi come conducente e hai i requisiti, ti chiamano subito». Sui siti che aggregano le offerte di lavoro, non a caso, si legge che Atm seleziona autisti anche senza esperienza, offrendosi di sostenere parzialmente o totalmente i costi della carta di qualificazione del conducente (CQC).
Se dieci o vent’anni fa gli stipendi di un conducente o di un manutentore Atm erano in linea con i costi della vita a Milano, oggi non è più così. La maggior parte degli autisti proviene da altre città o Regioni, e spesso non riesce a mantenersi nel lungo periodo in una città che chiede sempre di più e offre sempre di meno.
Come spiega a Linkiesta Roberto Errante (Uiltrasporti Regione Lombardia), avvengono «decine di dimissioni al mese». Così, gli ex dipendenti Atm vanno a giocarsi le loro patenti altrove, in aziende che offrono stipendi più alti, meno responsabilità e turni più stabili. «Attualmente – aggiunge Errante – abbiamo una procedura di sciopero aperta, il 9 marzo (oggi, ndr) ci troviamo in prefettura per chiedere un adeguamento dei salari e più sicurezza del personale».
La carenza di autisti, e la difficoltà a reperirne di nuovi, è confermata anche dall’agenzia metropolitana per il lavoro: «Collaboriamo con Atm per cercare di portare dei candidati. Da una parte c’è grande fatica a trovare persone con le patenti giuste. Dall’altra, chi entra non è particolarmente entusiasta. Va specificato che sono quasi tutti lavoratori che vengono da fuori Milano, ma costa troppo vivere qui. Quello dell’autista non è un lavoro compatibile per chi fa la vita da pendolare», sottolinea Maurizio Del Conte, presidente di Afol Metropolitana.