Belgrado zeroLa lezione di B92 per i media alternativi del ventunesimo secolo

Le manifestazioni contro la corruzione del regime Vučić hanno sollevato riflessioni sulla crescente centralizzazione del potere e sulla resistenza di giornali, tv e radio indipendenti, protagonisti di una storia di lotta e innovazione

AP/Lapresse

Martedì mattina si è dimesso il primo ministro serbo Miloš Vučević, dopo che lo scorso weekend si erano tenute proteste molto partecipate in tutte le città principali della Serbia. Le manifestazioni erano iniziate dopo il collasso del tetto della stazione di Novi Sad il primo novembre scorso, dove erano rimaste uccise quindici persone. La stazione era stata rinnovata da poco: i lavori erano stati affidati a un’azienda cinese, che aveva poi subappaltato a un’azienda serba.

Secondo i manifestanti, questi accordi e la poca trasparenza che li ha caratterizzati sono all’origine del disastro. Le persone scese in piazza vedono infatti quanto avvenuto alla stazione di Novi Sad come il frutto della corruzione che caratterizza il regime del presidente Aleksandar Vučić, al potere in diverse vesti dal 2012.

In seguito alla mobilitazione popolare, tredici persone erano state arrestate per il crollo, tra cui l’ex ministro  Goran Vesić – poi rilasciato. Come ricostruito da Balkan Brew, le autorità avevano anche rilasciato alcuni documenti relativi agli appalti.  Le proteste, però, non si erano placate, evolvendosi in una manifestazione della società civile contro l’autoritarismo crescente di Vučić e portando alle clamorose dimissioni del premier Vučević.

Per estensione e composizione, queste proteste sono state paragonate (per esempio nel podcast mattutino di Internazionale) alle manifestazioni di piazza che portarono alla caduta del regime guidato dal presidente Slobodan Milošević  il 5 ottobre del 2000, destituzione che inaugurò la breve stagione della democrazia liberale in Serbia. In quelle proteste, giocò un ruolo decisivo un media indipendente: la radio B92. 

La ricercatrice Janet Steel ha pubblicato recentemente una ricerca dedicata a questa radio alternativa. L’articolo non si limita a ricostruire la storia di B92, ma utilizza il caso per riflettere sugli attuali modelli di sviluppo dei media indipendenti.   

Fondata a fine anni Ottanta dall’incontro tra giornalisti, dj e studenti all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Belgrado, B92 si impose subito come la voce principale della controcultura nella Jugoslavia socialista, trasmettendo musica punk, new wave e rap. Negli anni delle guerre jugoslave (1991-1995), fu l’unica radio a raccontare i crimini di guerra commessi da soldati e miliziani serbi, anche grazie alla collaborazione con radio affini in altre repubbliche jugoslave, come Studio 99 a Sarajevo, Radio 101 a Zagabria e Radio Student a Lubiana. 

In quel periodo B92 dipendeva completamente da donazioni esterne, che venivano garantite nonostante le sanzioni a cui era sottoposta la Serbia – all’epoca ancora parte della Repubblica federale jugoslava assieme al Montenegro. Uno dei principali finanziatori era la Open Society di George Soros, che aprì un ufficio a Belgrado nel 1991. A fronte della crescente censura del regime di Milošević, B92 inaugurò anche il primo fornitore di connessione internet nel paese, OpenNet.   

La parziale democratizzazione seguita alla caduta di Milošević portò alla privatizzazione dei media. Convinti che in questo nuovo contesto i media indipendenti avrebbero potuto sopravvivere da soli, i donatori esterni interruppero i fondi. Questo contribuì alla crisi di B92, che non resse la concorrenza con altri media meglio equipaggiati e, dopo una serie di passaggi di proprietà, perse gradualmente la sua centralità nel panorama mediatico serbo, diventando parte dell’offerta mainstream.  

Tuttavia, Saša Vučinić, uno dei fondatori di B92, costruì su quella esperienza uno dei modelli più innovativi oggi esistenti di sostegno esterno ai media indipendenti: il Media development investment fund (Mdif). 

Vučinić e i suoi collaboratori alla Open Society, dove perfezionò questo modello, notarono che il supporto finanziario offerto ai media indipendenti in paesi dove la libertà di stampa è limitata non solo tende a dipendere molto dagli obiettivi (oscillanti) di politica estera del paese che lo garantisce, ma genera anche una sorta di dipendenza. I media supportati faticano a trovare fonti di ricavo autonome, in grado di compensare per l’eventuale ritiro del sostegno esterno. 

Il Mdif segue un approccio diverso. Offre solo un numero limitato di grant, preferendo allacciare prestiti, ma soprattutto investire direttamente nel progetto editoriale, pur garantendo totale autonomia alla redazione. In questo modo, il Mdif non solo protegge il media dall’acquisizione da parte di investitori legati al governo (come accaduto per esempio con la Kesma in Ungheria), ma mantiene anche un interesse diretto nella crescita economica del giornale, offrendo assistenza tecnica per rendere il media capace di sopravvivere in un’economia di mercato. Il Mdif parla infatti di ’clienti’, non di ’beneficiari’.

Secondo il suo ultimo report annuale, nei primi cinque anni di collaborazione i ricavi dei clienti di Mdif crescono in media del centonovanta per cento. Nonostante si rimanga all’interno di un paradigma di mercato e di ricerca del profitto, questo modello permette a giornali indipendenti di restare autonomi e di poter programmare le proprie operazioni con orizzonti temporali più lunghi rispetto a quelli permessi dai grant. Questo approccio combina «diritti umani e investimenti», andando così oltre la logica meramente assistenzialista della maggior parte dei progetti di sostegno finanziario ai media indipendenti.

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