Il settore automobilistico europeo è in serie difficoltà. Oltre al crollo della produzione di Stellantis in Italia e ai tagli di Volkswagen in Germania, si registra un rallentamento generale delle vendite di veicoli, sia termici che elettrici. Nei primi undici mesi del 2024 le immatricolazioni di auto nell’Unione europea sono rimaste praticamente ferme rispetto all’anno precedente: appena lo 0,4 per cento in più.
I dati dello scorso novembre – gli ultimi forniti dall’Acea, l’associazione dei costruttori – raccontano invece un calo complessivo dell’1,9 per cento, più marcato per i modelli elettrici che perdono il 9,5 per cento ma forte anche per le vetture a benzina, che arretrano di quasi otto punti.
Di automobili, insomma, se ne vendono poche. Troppo poche nel caso delle elettriche, che servono alle case produttrici per rispettare le nuove regole sulle emissioni, pena l’imposizione di multe. Nel 2025 la media delle emissioni delle auto immatricolate da ciascun costruttore non può superare i 93,6 grammi di CO2 per chilometro; chi sfora il target dovrà pagare una sanzione di novantacinque euro per ogni grammo di anidride carbonica in eccesso, vale a dire delle cifre miliardarie. Attualmente la media emissiva tra le aziende è superiore al limite stabilito e le scarse vendite di veicoli elettrici – che sono a emissioni zero, se le si misura al “tubo di scappamento” – non permettono di ridurla abbastanza.
Nonostante le richieste dell’Acea e del Partito popolare europeo (Ppe), la Commissione di Ursula von der Leyen non pare disposta a rivedere la sua posizione sugli obiettivi di emissione, anche per via di tutto il capitale politico investito finora nella decarbonizzazione della mobilità. Il commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, ha detto che «cambiare le regole danneggerebbe la concorrenza» nel settore. Ha aggiunto che «la Commissione è consapevole del fatto che alcuni produttori temono di non raggiungere gli obiettivi, [ma] molti altri sono fiduciosi e si oppongono alla modifica del quadro normativo: il cambiamento delle regole causerebbe una distorsione delle condizioni di parità e porrebbe questi ultimi in una posizione di svantaggio competitivo» rispetto ai primi.
Così, nell’improbabilità sia di una revisione delle politiche comunitarie, sia di un aumento repentino delle vendite di modelli elettrici, i gruppi automobilistici attivi nell’Unione si sono organizzati in un altro modo: acquisteranno dei “crediti di carbonio” dai marchi elettrici, come Tesla e Polestar. Si tratta di certificati che compensano le emissioni di CO2 delle aziende; quelle più “virtuose” dal punto di vista climatico – come Tesla, appunto, che produce soltanto veicoli elettrici puri – hanno dei crediti in eccesso che possono rivendere.
Questi trasferimenti sono rilevanti per i conti di Tesla, visto che nei primi nove mesi del 2024 le vendite di carbon credits hanno rappresentato il tre per cento delle entrate totali. Per Volvo, che controlla Polestar ed è parte a sua volta della holding cinese Geely, le cessioni dei crediti hanno invece un peso inferiore sul bilancio: lo 0,3 per cento delle entrate nel periodo gennaio-settembre 2024.
Tesla, dunque, condividerà i suoi crediti di carbonio con Stellantis, Ford, Toyota, Mazda e Subaru, mentre Mercedes-Benz farà gruppo con Smart (che ha un surplus di permessi grazie alle sue city car elettriche), Polestar e Volvo: in gergo si parla di pooling agreements. La compravendita soddisfa sia le parti venditrici, che ci guadagneranno economicamente, sia gli acquirenti, che grazie ai crediti potranno abbassare la media delle loro emissioni ed evitare o ridurre le multe.
Questi accordi tra case automobilistiche sono simili a quelli che avvengono tra le aziende di altri settori (acciaio, ceramica, carta, aviazione e non solo) all’interno dell’Emissions trading system. Meglio noto con la sigla Ets, si tratta del sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione: funziona come un “mercato della CO2” nel quale le imprese ricevono ogni anno un certo numero di permessi – numero che si riduce nel tempo – e possono decidere se spenderli per compensare le proprie emissioni oppure se venderli a chi li ha esauriti. Lo scopo dell’Ets è di rendere sconveniente l’uso dei combustibili fossili e favorire gli investimenti nelle tecnologie low-carbon.
Quest’anno, peraltro, entra in vigore – ma la piena applicazione ci sarà nel 2027 – un nuovo e separato sistema, l’Ets2, dedicato ai combustibili per il riscaldamento degli edifici e per l’alimentazione dei trasporti su strada. Nel 2022 l’Acea accolse con favore la misura: l’allora direttore generale dichiarò che l’Ets2 non era «una soluzione magica», ma la transizione energetica dell’automotive non si sarebbe potuta realizzare in sua assenza. «Vedremo i veicoli ad alimentazione alternativa circolare nelle strade in gran numero», disse, «solo se il contenuto di carbonio di tutti i vettori energetici e le emissioni di CO2 avranno un prezzo adeguato».