Questo è un articolo del nuovo numero de Linkiesta Etc dedicato al tema della nostalgia, in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.
«È qualcosa che non avrei mai immaginato di poter vivere a Parigi. Trovarmi a piantare fiori per strada, con le persone che si fermano a chiedere cosa stiamo facendo e a dare una mano è davvero appagante». Tommaso Marro, reporter e cameraman piemontese trapiantato nella Ville Lumière è copresidente dell’associazione Village Jourdain. Adora questo posto e i suoi abitanti. È un piccolo villaggio cosmopolita di origini medievali, intriso di un’anima autentica, incastonato sulle alture di Belleville, a cavallo tra il 20° ed il 19° arrondissement. Vicoli ciechi, stradine segrete e giardini fioriti gli conferiscono un fascino raro a cui contribuiscono anche boutique di design, atelier di artisti, bistrot tipici e le immancabili feste di quartiere.
Il “villaggio” sprizza un’energia bohème, che lo contraddistingue da altre zone della capitale francese: quella dei suoi abitanti, che ancora oggi riconoscono e coltivano una componente nostalgica e romantica. Anche per lo chef Marius de Ponfilly (nella foto) e il suo socio Kevin Deulio, lo spirito paesano è palpabile. Hanno scelto di aprire Soces in rue de la Villette. La loro è una brasserie moderna, pensata per i vicini, certo, ma dove bazzicano anche parigini della Rive Gauche, professionisti del settore della moda, della musica, della ristorazione. «La nostalgia è, per esempio, l’omelette arrotolata della nostra infanzia, la pasta della domenica sera, le ostriche che si mangiano nelle grandi occasioni e che sono altrettanto buone il giorno dopo una serata movimentata e sempre presenti nel nostro menu», ci confida lo chef da dietro il bancone di questo locale che ha quasi 100 anni. «È stato un colpo di fulmine: la strada è tranquilla e poco trafficata, ma animata dalle attività di molti artigiani e commercianti. Siamo vicini al Buttes-Chaumont, un parco dove si possono sentire i gabbiani. Da noi si cena spesso all’aperto, lontano dal trambusto».
Il museo Carnavalet, più antico museo di Parigi dedicato alla storia della capitale, ci racconta che fin dall’inizio della Terza Repubblica, Belleville è stato uno dei quartieri con il maggior numero di parigini di nascita, il più operaio e densamente popolato della città, dove sorgevano numerose guinguettes (strutture per ristorarsi o bere un calice che spesso e volentieri si tramutano in sale da ballo). Lo scrittore Clément Lépidis amava descriverlo così: “Nel 1927, si cantava, si beveva, si beveva tanto, si mangiava; c’erano trattorie, taverne, le “piccole donne” che lavoravano all’angolo di Rue Vincent (oggi scomparsa, ndr). Avevamo 15 cinema che si estendevano dal bd de Belleville alla chiesa di Belleville. C’erano artigiani, due grandi fabbriche di scarpe che impiegavano 8.000 operai e 400 piccoli produttori di calzature. Questo quartiere era una città a parte”. Con gli anni il villaggio si è trasformato, seguendo il corso della storia, ma senza mai perdere una festosità contagiosa. L’associazione dei commercianti di Belleville promuoveva “Les flâneries de Belleville”, una grande fiera di artigiani che vendevano collane, braccialetti, oggetti fatti a mano, dipinti o fotografie. Émilie Bourgouin, fondatrice dell’associazione Village Jourdain ne ha raccolto l’eredità: «Quando sono arrivata, avevo tre bambini piccoli. Il quartiere era un po’ abbandonato, c’erano vetri rotti e non ci sentivamo sicuri. Ho voluto impegnarmi come residente per dargli una nuova vita.
L’obiettivo non è solo far baldoria, ma vivere meglio e in armonia nelle sue vie». Nel 2016, co-crea un gruppo Facebook con Geneviève Clastres, grazie al quale molte persone si incontrano e si ribellano alla solitudine. Si creano ponti tra i vicini, valorizzando i talenti locali tramite mostre e mercatini. Artigiani, famiglie, scrittori e musicisti si sono stretti attorno ad una nuova solidarietà basata sul mutuo aiuto. Oggi il gruppo conta circa 30.000 membri e Geneviève continua ad amministrarlo. Jourdain è un vero melting pot di comunità: cinese, ebraica, tunisina, africana, slava e francese. E convivono. «Qui mi sono adoperata a livello associativo e umano. Dobbiamo però fare attenzione affinché il quartiere rimanga tale e tutti possano continuare a viverci dignitosamente, nonostante la gentrificazione», spiega la giornalista, che vive qui da più di 30 anni.
Nel settembre 2017 l’associazione Village Jourdain ha riunito 5.000 persone tra abitanti, parigini e turisti curiosi in occasione della prima fête de quartier, lunga tre giorni. Vi hanno aderito oltre 250 artisti locali, musicisti della Philharmonie e ballerini dell’Opéra che insegnano ai bambini a danzare. Emilie continua: «Ogni settimana organizziamo sessioni di irrigazione e condividiamo un pasto in strada. Chiunque può dare una mano. C’è un vero spirito di comunità. Nelle difficoltà, gli abitanti si uniscono per trovare soluzioni, tutto ciò fa parte del progetto». Con il suo ex stagista Tommaso – oggi promosso a copresidente – e tanti altri attori locali, prepara cene di quartiere all’aperto, ma anche sfilate di moda alternative, che coinvolgono cani, adulti, bimbi e designer locali. Le iniziative promosse dall’associazione non si fermano alle feste di settembre o ai mercatini dell’usato di ottobre. Le attività di giardinaggio, spesso in partnership con le scuole, proseguono per tutto l’anno, fino alla distribuzione di regali per i migranti a Natale. In quest’angolo di Parigi al riparo dalle folle di turisti, dove si mescolano tradizione ed economia circolare, joie de vivre e fascino architettonico, è bello fermarsi su una panchina nella place des Grandes Rigoles. A Tommaso piace sedersi lì per osservare e discutere con i protagonisti di Jourdain.