Camillo di Christian RoccaEsportare la democrazia nell’Upper West Side. I marines liberano New York dai radical chic, come a Falluja

Quarantotto ore dopo, l’Upper west side era liberata. Le colonne di fumo e il tanfo di Camembert andato a male solleticavano i sensi degli uomini del Primo battaglione dei marines, gli stanchi eroi della cruenta battaglia per la conquista dell’ultima casamatta degli insorgenti chic, situata in quel rettangolo di vie tra il fiume Hudson e Central Park, nella zona nord occidentale dell’isola di Manhattan. Coperto dai cecchini della Bravo Company, distesi sui tetti lungo il perimetro bellico, il contingente americano procedeva lento su Amsterdam Avenue, a piedi o a bordo dei veicoli blindati Bradley. Intorno c’erano i segni della missione compiuta: esportare la democrazia nell’Upper West Side, anche al costo di radere al suolo la città. Come a Fallujah.

I soldati si aspettavano una diversa accoglienza da parte dei newyorchesi, credevano che sarebbero stati salutati come liberatori. Invece no. La solita ingenuità ideologica dei professorini di Washington li aveva illusi. Non c’erano né rose né fiori al passaggio dei marines. La gente dell’Upper West Side mostrava solo indifferenza.
La vita, il giorno dopo, era la stessa di sempre. I larghi marciapedi di Broadway, nonostante gli edifici crollati e i muri bruciacchiati, continuavano a brulicare di upperwestsiders superstiti con regolare tazza di latte macchiato in mano e cuffiette dell’I-pod alle orecchie.
“Dio, come odio questa gente”, ha detto il caporal maggiore della 101esima divisione aviotrasportata, Alexander J. Petrovsky.

Ma l’odio è stato cattivo consigliere in una battaglia che avrebbe voluto conquistare non solo un isolato dopo l’altro, ma anche i cuori e le menti della popolazione civile. Gli strateghi del Pentagono avevano infatti studiato piani d’invasione che tenessero in conto le tradizioni locali, che mostrassero il lato buono dell’imperialismo americano. Ecco perché le caffetterie Starbucks sono state risparmiate dalla potenza di fuoco alleata. Le armi tecnologiche servono a vincere la guerra, ma spesso è il soft power di un Frappuccino che può far vincere la pace.

L’odio è difficile da tenere a bada. Una giornalista della televisione italiana, sfidando la furia dei militari con la sua telecamera e il freddo dell’Atlantico con una pashmina, è riuscita a trasmettere in tutto il mondo le raccapriccianti immagini di una colonna di marines che pattugliava Central Park West con gli edifici rasi al suolo. A un certo punto uno dei soldati, spaccone come solo un soldato yankee sa essere, s’è staccato dal gruppo e ha cominciato ad agitare la mano come un forsennato. E a urlare “taxi, taxi, voglio un fottuto taxi”, con l’intento di prendere in giro una tribale, ma centenaria, usanza di queste zone. L’opinione pubblica europea è insorta. La reazione delle piazze hollywoodiane non è tardata ad arrivare.

Donald Rumsfeld era un fiore, come sempre. Le immagini e le polemiche non l’hanno turbato. Con la sua solita schiettezza ha detto che “shit happens”, le merde si pestano, e non c’è niente da fare.
Rummy ha parlato al paese dagli studi della Abc, sulla sessantasettesima strada, all’angolo con Colombus Avenue, nel cuore del quartiere ormai sottratto agli insorgenti chic: “La coalizione ha completato le operazioni, da nord a sud, nel teatro di battaglia denominato Upper West Side. Abbiamo consegnato alla storia la Old New York e ora, con la benedizione di Dio, potrà finalmente nascere una nuova New York”.

La decisione politica di sradicare una volta per tutte i liberal dall’Upper West Side è stata presa alla Casa Bianca un mese fa, insieme con gli inviati dei paesi della coalizione dei volenterosi. Il rappresentante italiano, per affinità teo-con con Bush e perché nel governo ha ormai poco da fare, era Rocco Buttiglione. Washington voleva agire, agire subito. Tony Blair avrebbe voluto passare prima dall’Onu. Ma Bush ha deciso di no.
Il Palazzo di Vetro sta a midtown, sulla east side. Fuori mano. Non sarebbe stato sulla strada.

L’attacco alle Nazioni Unite poteva aspettare.
Qualsiasi tentativo di allargare l’obiettivo militare ad altri fronti è stato prontamente stoppato dal presidente, tanto che secondo il Washington Post alla fine del meeting Paul Wolfowitz si sarebbe allontanato scuotendo la testa e dicendo a mezza bocca che “i veri uomini non si fermano all’Upper West Side, ma vanno fino a Hollywood”.

Prima di dare il via libera ai piani preparati dal Pentagono, i leader politici alleati hanno dibattuto sul nome da dare all’operazione militare. La parola freedom era stata già presa da “Iraqi Freedom” e da “Enduring Freedom”. Anche “speranza”, hope, era stata usata in Somalia nell’operazione “Restore Hope”.
A quelle parole, restore e hope, Buttiglione è scattato in piedi: “Trovato: chiamiamola Restore Pope”.
“No, no”, ha detto un polacco, ­”Meglio Destroy Co-op, un chiaro segnale contro la tirannica articolazione sociale imposta dalle cooperative condominiali”. L’idea non è piaciuta.
Bush, compassionevole, avrebbe voluto “No upper west sider left behind”. Blair era per dare un tocco pop: “Take a walk on the west side” o “Knocking on liberal’s door”. L’ala sionista dei neocon era divisa tra “Torah, Torah, Torah” e “Enduring Bagel”. John Ashcroft suggeriva “Evangelical Storm”, mentre Cheney aveva proposto un “Imagine there’s no liberal” da far partire dallo Strawberry Field Memorial dedicato a John Lennon su Central Park all’altezza della 72esima. Condi Rice si è battuta per un “War and the City” che potesse far dimenticare “Sex and the city”.

Alla fine l’ha spuntata Karl Rove, il genio. L’operazione è stata chiamata “W-Way”. Ricorda il “D-Day” dello sbarco in Normandia e fa capire subito che in questo nuovo secolo americano si fa “al modo di George W”. C’è anche la colonna sonora. “My way” di Frank Sinatra, la canzone più individualista di sempre. Fuck, yeah.

Per cogliere di sorpresa i liberal, il Pentagono ha dislocato le portaerei USS New Mexico e USS George Washington sulla riva nord est di Manhattan, cioè sulla sponda opposta rispetto all’obiettivo militare. Gli uomini dell’intelligence, intanto, avevano provveduto a riarmare segretamente la USS Intrepid, l’ex portaerei trasformata in museo e oggi ancorata a un molo all’altezza della quarantaduesima strada, a soli diciotto isolati dal teatro di guerra. Al segnale convenuto, dalla Intrepid sono scesi 55 carri armati Abrahms M1A1 diretti verso nord.
Alle diciannove e tre minuti di mercoledì 8 sono partiti i primi missili dalle navi schierate sull’East river. I Cruise hanno sorvolato Central Park e colpito con precisione chirurgica i centri nevralgici del potere liberal. Nel giro di cento secondi la Marina militare ha disintegrato la Columbia University e la gesuita Fordham University, per delimitare le due estremità nord e sud dell’Upper West. Nel mezzo, ground zero.

Il Lincoln Center for the Performing Arts, simbolo dell’egemonia culturale della sinistra, non esiste più ­ per la gioia della comunità portoricana che da lì fu cacciata e deportata e sfottuta da quel radical chic di Leonard Bernstein in West Side Story.

Solo macerie su Fairway, il supermercato su Broadway e 74esima frequentato dagli intellettuali. Grazie a una sofisticata tecnologia a raggi infrarossi sono state distrutte anche tutte le Volvo station vagon, la vettura ufficiale della nomenklatura del quartiere.

Il sito upperwestside.bodycount.org ha calcolato in 750 il numero dei morti della prima ondata di bombardamenti, metà delle quali signore eleganti con ciuffi di capelli bianchi alla Susan Sontag. Novemilatrecento il numero delle Volvo disintegrate, due terzi di colore verde bottiglia.

Il Pentagono non ha voluto confermare i dati, ma ha ammesso che nell’esplosione al bancone del caviale russo di Fairway sono rimaste vittime il critico cinematografico del New Yorker, David Denby, e l’editorialista del Sole 24ore, Claudio Gatti. L’attacco a Fairway, il successivo a Balducci’s (sulla 66esima e Amsterdam) e poi quello finale a Zabar’s (sull’80esima e Broadway) ha scatenato i teorici della cospirazione. In un dvd in vendita a 29 dollari e 99 centesimi, trovato nei due Barnes & Noble su Broadway e già premiato a Cannes, l’ala più radicale degli insorgenti guidata da Michael Moore ha fatto notare come da Zabar’s, all’ora dell’attacco, non ci fosse nessun ebreo: “Vi sembra credibile che abbiano lasciato tutto quel salmone artigianale solo per me?”, ha chiesto retoricamente Moore.
“Come mai – ha commentato Noam Chomsky dalla sua casa di Cambridge, Massachusetts ­quest’Amministrazione di profittatori ha colpito le nostre più importanti fonti di approvvigionamento gastronomico, risparmiando i volgari supermercati Gristedes?”.

La tesi è questa: John Catsimatidis, miliardario di origine greca proprietario dell’impero alimentare Gristedes, qualche mese fa aveva minacciato di candidarsi per i Democratici contro il sindaco Michael Bloomberg. Secondo Chomsky, il vicepresidente Cheney, che di affari e di corporation se ne intende, ha proposto al greco di distruggere i concorrenti in cambio della rinuncia a candidarsi e della vendita a prezzo maggiorato delle vettovaglie per le truppe. Il modello Halliburton, insomma.

L’attacco ha colto di sorpresa i radical chic, in questi giorni distratti dal referendum interno per nominare il sostituto di Dan Rather alla Cbs. Al momento dell’attacco, il palazzo chiave dell’Upper west side, cioè il Dakota (72esima e Central Park West), era pressoché vuoto. Erano quasi tutti downtown per un drink o, come dicono qui, “whatever”. Le capocondomine Lauren Bacall, Barbra Streisand e Yoko Ono erano in casa, nell’appartamento di Lauren. Alla prima esplosione stavano sorseggiando uno Chateau Gloria di Saint Julien, acquistato da 67 Wine & Liquor, la vineria più chic della zona andata distrutta da un missile poco intelligente che invece di colpire la profumeria francese “l’Occitaine”, che si trova esattamente di fronte, ha sbagliato coordinate ed è finito sull’angolo south east di Columbus Avenue, proprio su 67 Wine & Liquor.

“Questa Condi Rice non è affatto una leggenda, è solo una principiante”, ha detto Bacall a Yoko riciclando un’accusa recentemente rivolta a Nicole Kidman.
“Che si fotta, quella donna-scimmia”, ha aggiunto severamente Streisand.
Barbra aveva appena ricevuto un articolo di Lidia Ravera da un signore italiano dai capelli turchini di cui non rammentava il nome ma che certamente aveva diretto una di quelle corporation affamatrici di working class atteggiandosi ad amico dei Kennedy.
“Non perdiamo tempo, ragazze. Finite il bordeaux e corriamo in trincea. Ma dove diavolo è finita Nora?”.

Nora è Nora Ephron, la regista di “C’è posta per te”, il film manifesto sull’Upper West Side. Nora è una specie di ideologa del quartiere, insieme con Jerry Seinfeld, il comico dell’omonima serie tv ambientata in zona. Per questo le loro abitazioni erano obiettivi strategici della coalizione. La casa di Nora, sulla 79esima strada, è stata distrutta da un Tomahawk. Sotto le macerie è rimasto suo marito Nick Pileggi. Nora s’è salvata per uno dei classici errori di intelligence della Cia. A Langley nessuno sapeva che ogni sera la regista esce di casa e va sulla 69esima a controllare che il suo negozio-talismano, Cheese & Antiques, non sia stato nottetempo costretto a sloggiare da una qualche perfida multinazionale. Il bizzarro negozio di Maya Schaper vende oggetti d’antiquariato e formaggi pregiati, insieme ­ la classica stranezza dell’Upper West Side. Cheese & Antiques è stato utilizzato da Nora Ephron come location per la piccola libreria di Meg Ryan che in “C’è posta per te” era stata fatta chiudere da Tom Hanks, il capo dei megalibrai Fox. Alcuni critici scrissero che quel film era la storia d’amore tra Nora e l’Upper West Side di una volta, prima che i giganti delle multinazionali costringessero al fallimento i “mom and pop stores”, i piccoli negozi a gestione familiare.

Alle prime deflagrazioni, Nora è corsa verso il Dakota, dalle compagne Lauren, Barbra e Yoko. Raggiunte le amiche, il palazzo è stato circondato dai paracadutisti del colonnello Julio C. Jimenez. Venticinque minuti dopo, il Dakota era controllato dalle forze della coalizione, che qui hanno installato l’Upwecom, il comando dell’Upper West.

Una coraggiosa giornalista italiana, embedded con gli uomini di Jimenez, dentro il palazzo non è riuscita a trattenere la gioia e l’orgoglio. Urlava frasi sconnesse: “Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio: frocioni!!!”. Si è interrotta solo per sputare sui liberal che sfilavano in manette.

L’invasione dell’Upper West Side è avvenuta da sud, da est e da nord. La sponda ovest, con il fiume Hudson, è stata lasciata libera, quasi per concedere una via di fuga ai radical chic. Al Pentagono sapevano bene che gli Upperwestsider piuttosto che attraversare il fiume ed essere costretti a soggiornare in New Jersey avrebbero preferito morire. E poi, di là, ci stavano i camionisti di Newark e di Jersey City pronti a fargli la festa.

La 25esima divisione di fanteria ha sfondato la linea della 59esima strada a Columbus Circle, dopo aver stazionato per settimane nel nuovo lussuoso centro commerciale della Time Warner, una specie di Cavallo di Troia che i liberal inopinatamente si sono messi alle porte di casa. Le due sottili torri di vetro fanno orrore agli intellettuali chic, perché hanno midtownizzato, cioè reso volgare, la porta d’ingresso dell’Upper West Side. Per accedere ai magnifici ristoranti del terzo piano, per esempio, bisogna prendere la scala mobile, una roba da petrolieri di Dallas. Le torri sono state accettate solo perché ospitano gli studi della Cnn, il canale liberal che ancora oggi non ha assegnato i 20 voti dell’Ohio a George Bush.

L’invasione dal Parco è avvenuta a cavallo. Gli uomini del 14esimo Reggimento di Cavalleria hanno tenuto il fronte a est e spinto i liberal, isolato dopo isolato, verso l’Hudson. A nord, la Seconda Divisione di fanteria, coperta dall’artiglieria e spalleggiata dagli elicotteri AH-64 Apache, è riuscita a scendere dalle Morningside Heights sulle macerie della Columbia, solo dopo aver stretto un accordo con la comunità afroamericana di Harlem, insofferente con il lento ma deciso espansionismo degli Upperwestsiders.

Il fronte tra la centodecima e la centoduesima strada, a un passo dalla Cattedrale St. John’s the Divine, è stato spazzato via dalle granate e dai colpi di mortaio. Alexander Stille, prof. liberal alla Columbia ed editorialista di Repubblica, ha provato a trovare rifugio all’Hungarian Pastry Shop di Amsterdam Avenue, ma è stato tradito dalla golosità per una fetta di Dobosz. Il caporale Mike S. Karatchny, di chiare origini ucraine, s’è voluto occupare personalmente del destino di Stille. Fatto quello che doveva fare, il marine s’è finalmente dedicato agli strati cioccolatosi della Dobosz, ma solo dopo aver fatto spegnere la telecamera a un impiccione giornalista della Nbc.

Le forze alleate si sono coordinate con la piccola ma tenace resistenza, presente sul fronte nord. In quella zona vivono gli ebrei ortodossi. Dopo anni di tiritere dei liberal sulle colpe di Israele e sulla disumanità dei coloni ebraici, li hanno mandati a quel paese e si sono convertiti alla dottrina Bush.

Il grande vecchio è un laico, Norman Podhoretz. L’ex direttore di Commentary in tutti questi anni è rimasto nella trincea dell’Upper West, anche dopo l’esilio a Washington del suo grande amico Irving Kristol. Il figlio di Podhoretz, John, e il figlio di Saul Bellow, Adam, sono i due capi partigiani.

La vita in clandestinità è stata dura. Per non dare nell’occhio si sono vestiti ogni giorno che Dio ha mandato in terra con dei completi di velluto marrone, come i più regolari tra i liberal. Per farsi riconoscere dai compagni hanno escogitato un raffinato stratagemma: da quattro anni ogni tasca di cappotto partigiano ha sempre mostrato una copia del New York Sun, il giornale di Seth Lipsky che vende il 90% delle copie proprio tra la centesima e la centodecima west.

I partigiani hanno segnalato alle Forze Speciali i luoghi dove si nascondeva il nemico. Mano a mano che il teatro di battaglia si restringeva, la Delta Force ha avuto il compito di cercare attico-per-attico e penthouse-per-penthouse i gerarchi del regime liberal.

La mansion dell’editore del New York Times, Arthur detto “Pinch” Sulzberger, è stata individuata grazie a una soffiata di Ira Stoll, il vicedirettore del Sun che da anni è impegnato in una battaglia personale con il giornale dei record.

A cose fatte s’è scoperto che il soldato che aveva insistito per eseguire la condanna a morte era un ex dipendente di “Pinch” proveniente dall’Alabama. Per vendetta nei confronti di Sulzberger, che l’aveva licenziato, era riuscito ad arruolarsi con i liberatori grazie a un trucco di un fantasioso amico afroamericano di nome Jayson. “L’uomo che ha ucciso il proprietario del Times è il suo ex direttore Howell Raines. Questa volta il vecchio Howell c’è davvero riuscito”, ha detto Bill O’Reilly aprendo la rubrica “The most ridiculous item of the day” del suo show su Fox News. Ma c’è da fidarsi di Fox News?

Per muoversi con naturalezza in ambiente nemico, al Pentagono hanno proiettato per mesi l’intera filmografia di Woody Allen. Alla terza sequenza girata con telecamera a spalla in una penthouse dell’Upper West, il sergente Joe “Fish” Catalanotti s’è alzato in piedi e ha urlato: “Voglio vederli morti, questi selvaggi”. Per provare a comunicare con il nemico, la Delta Force ha studiato il manuale bellico di Ann Coulter “How to talk to a liberal (if you must)”, “Come parlare a un liberal (se proprio devi)”.
“Io non devo”, ha detto il sergente Richard W. Casperberg mentre scaricava il suo M-40 su qualsiasi cosa si muovesse dentro il San Remo, uno dei condomini più eleganti di Central Park West.

Steve Martin, in accappatoio, ha provato a fare un paio di battute, ma è stato freddato. Dustin Hoffman, mettendo a frutto il metodo dell’Actor’s Studio, s’è travestito da marine e per un momento è riuscito a far fesse le forze speciali. Ma s’è tradito quando, per non dare nell’occhio, ha cominciato a fischiettare “The Sound of Silence”, la colonna sonora del “Laureato” con cui Simon&Garfunkel hanno fracassato le palle a tre diverse generazioni. Steven Spielberg era in città, nel suo appartamento al San Remo. Ci resterà per sempre.

Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones (75esima e Central Park West) sono stati bruciati vivi da un soldato mormone, Jay B. Bingham, convinto che la coppia fosse l’incarnazione della lussuria e del peccato. Il sergente William B. Saflame c’è rimasto malissimo. Aveva corso 13 isolati per fare quello sporco lavoro. Erano anni che sognava quel momento, esattamente da quando Michael Douglas si fidanzò con la smorfiosa columnist del New York Times, Maureen Dowd.

Woody Allen l’ha fatta franca, perché è sempre rimasto sull’East Side. E’ finita male, invece, alla sua ex moglie, nonché suocera. Mia Farrow era vicina di casa di Douglas e Zeta-Jones, sulla 73esima di Central Park West.

L’El Dorado, al numero 300 di Central Park West, era uno degli obiettivi principali del comando. Lì stava Alec Baldwin, uno dei capi dei liberal, almeno secondo “Team America”, il visionario film con burattini prodotto da un oscuro think tank, il Puppet for a New American Century, che da anni chiedeva il cambio di regime sopra la 59esima. Nello stesso palazzo viveva, è proprio il caso di dire, Faye Dunaway. Su Baldwin i soldati si sono accaniti con particolare brutalità. Secondo una ricostruzione del Chicago Tribune, sarebbe stato sodomizzato da un marine della Alaska, il tenente Clint R. Hill. “Brutto stronzo. Vengo da Anchorage, venti fottuti gradi sottozero tutto l’anno. Prova ancora a parlare di surriscaldamento del pianeta se hai coraggio”, avrebbe detto Hill con il fiato sul collo di Baldwin.

Le regole di ingaggio della Delta Force erano chiare: i liberal vanno presi, vivi o morti. Chi resiste, va fatto fuori. Ci sono state eccezioni. Isabella Rossellini è stata risparmiata perché, secondo un rapporto del team B del Pentagono preparato dal generale Ian Dell Rovere, avrebbe spesso frequentato la resistenza repubblicana. Al Century, palazzo sulla 63esima, gli alleati hanno dovuto affrontare un piccolo 8 settembre. Il politologo italiano Giovanni Sartori s’è subito qualificato come un “cold war hero”, ricordando agli attoniti marines di essere scappato dall’Italia quando i comunisti stavano prendendo il potere. I militari erano pronti a rilasciarlo quando sulla ricevente del capitano Isaiah S. Borkroft è arrivato un sms inviato da uno dei consiglieri del sindaco Bloomberg: “Fatelo fuori, rompe sempre i coglioni con questo cazzo di conflitto d’interesse”.

Sartori era spacciato, senonché è intervenuto l’inquilino del piano di sotto, il corrispondente del Corriere della Sera, Gianni Riotta. Pochi minuti prima era riuscito a convincere i marines che lui non era un liberal come gli altri: “Sono i giornali che mi dipingono così”.
Riotta aveva con sé una cartelletta con i suoi articoli critici su Jacques Chirac e contro Michael Moore. Soprattutto, poteva vantare le minacce ricevute sul sito indymedia.it. I marines gli hanno creduto a metà. La vita era salva, ma lui e Sartori sono stati spediti a Guantanamo per accertamenti.

Sul fronte occidentale, i marines della Compagnia B, da nord a sud, hanno stretto a tenaglia gli insorgenti chic. Al numero 333 di West End Avenue hanno fatto irruzione in casa del regista Joel Coen e di sua moglie Frances McDormand. Non ci sarà mai più un film dei “fratelli” Coen.

L’appartamento di David Denby, nello stesso palazzo, è stato fatto saltare in aria. Nessuno aveva avvertito i marines che il critico del New Yorker era sotto le macerie di Fairway. Più a ovest, al numero 180 di Riverside Drive, due nerboruti agenti dei servizi, vestiti con cappotti di cammello, sono stati visti entrare nell’appartamento del produttore Dan Talbot con due panetti di burro, un bandoneon e una bottiglia di champagne. Secondo Amnesty, l’episodio potrebbe essere legato al fatto che Talbot era l’uomo che ha fatto conoscere Bernardo Bertolucci agli americani. Pauline Kael, l’altra responsabile, s’aggirava per Riverside Park guardando con stupore lo zelo religioso dei marines: “Non capisco come Gesù Cristo possa essere stato eletto; nessuno di quelli che conosco ha votato per lui”.

Su West End c’era anche l’abitazione dell’attuale direttore del Times, Bill Keller. “Lo vogliamo vivo”, aveva ordinato la Casa Bianca. Keller è un liberal, ma ragionevole e attento ai conservatori. Tanto da aver assunto il neocon David Brooks come editorialista e Sam Tanenhaus come capo dell’inserto dei libri. “L’Iraq ci ha insegnato che non bisogna commettere l’errore della de-radicalchicchizzazione. Keller potrebbe tornare utile in un’ipotesi di governo provvisorio”, ha detto Paul Bremer III alla Msnbc.

La Delta Force a un certo punto ha dovuto affrontare un imprevisto. Gli insorgenti chic sono stati raggiunti da un gruppo di militanti liberal del West Village, di Soho, di Tribeca e di Nolita guidati da Tim Robbins e da Susan Sarandon. Penetrati nell’Upper West Side a bordo di 12 limo bianche, e dopo un pasto frugale da H&H bagels, accanto alle macerie di Zabar’s, la brigata Fahrenheit si è acquartierata nella sinagoga B’nai Jeshurun, detta BJ. Il rabbino Rolando Matalon, un sudamericano, è uno dei più liberal di tutto il mondo ebraico.

All’ora di pranzo sono usciti uno a uno dal tempio, pronti a riorganizzare la resistenza. Con una parola d’ordine: “Zabar Akhbar”.
Ethan Hawke e Matt Damon sono stati riconosciuti subito da una pattuglia di marines, non in quanto facce note ma perché incapaci di interpretare la parte di due anonimi passanti. Sono stati portati al Beacon Theater (sulla 75esima). Prima dell’invasione era il regno del rock psichedelico. Ora è l’Abu Ghraib on Broadway.

A tre isolati dalla prigione, sulla 72esima e Amsterdam, c’è l’Utopia Cafe. Qui John Podhoretz e Bill Kristol hanno fondato il Weekly Standard. Nove anni dopo grazie all’intervento armato sono riusciti a tornare, e a farsi una cheese cake. I due neocon sono più vecchi e i capelli sono più grigi, ma conoscono ancora il modo di combattere per il loro paese.

Susan Sarandon è corsa da Shelley Winters, sempre sulla 72esima. La casa però era sotto osservazione. Il blitz è scattato poco dopo. Gli uomini della Delta Force sono entrati nell’appartamento e scaraventato le due attrici dalla finestra. Giù, per strada, a due passi da Central Park, lo spettacolo era raccapricciante.
Già che erano sulla 72esima, le Forze Speciali sono salite a casa di Cathleen Schine, quella della “Lettera d’amore”. Secondo il Los Angeles Times, che cita un memo segreto del Dipartimento di Stato, la scrittrice è stata eliminata solo perché la sua sdolcinatezza dava un gran fastidio a Condi Rice.

Tim Robbins, aiutato ­ si fa per dire ­ da Ben Affleck, ha cercato di mettersi in contatto con i giornalisti di The Nation, l’ultimo organo bolscevico della Terra. Affleck ha capito fischi per fiaschi, o forse ha capito benissimo, e si è diretto verso casa di David Remnick, il direttore del New Yorker, sulla 86esima all’angolo con Broadway. Remnick non c’era. Tutta la città ne parla, ma il New Yorker non è mai sulla notizia.

Le eggs benedict di Sarabeth’s (Amsterdam e 80esima) hanno sciolto la tensione di T-Ro. Ma quando B-Aff è tornato a mani vuote, avrebbe voluto svitargli il collo. “Non c’era nessuno di The Nation ­ ha provato a dire Affleck ­ Però ho trovato le ultime copie della rivista con queste vignette che non capisco e che non mi fanno ridere. Deve esserci qualche messaggio cifrato”.
“Idiota! Quello è il New Yorker!”.

Dieci minuti dopo erano sulla 67esima, davanti a casa di Victor Navaski, l’editore di The Nation. Anche Navaski era davanti a casa sua. Disteso. Per terra. Accanto a lui, coperte dalla cenere, ma sempre molto chic, Katha Pollit e Katrina Van Heuvel, le due ex gran dame dell’ex giornale.
La battaglia era persa.

A Robbins non restava che il regista Peter Bogdanovich, al numero 130 della 78esima. Si sono abbracciati, e Bogdanovich ha fatto solo in tempo a dire di non fidarsi di Antonio Monda, il corrispondente culturale di Repubblica, quando quattro Black Hawk hanno disintegrato mezzo isolato.

A casa Monda, su Central Park West, anche i servizi non si fidavano della loro quinta colonna. Era pur sempre un republicones, e solo dieci giorni fa aveva intervistato Arthur Miller per andare addosso a Joe McCarthy. Indecisi se lasciarlo andare oppure arrestarlo, gli agenti della Cia gli hanno posto un’alternativa: “O torni in Italia, ma a Largo Fochetti, o ti facciamo fuori”.
“Alla Garbatella, mai. Piuttosto vi faccio vedere io come muore un italiano del sud”, ha detto con tono grave Monda. E si è buttato dalla finestra.
“Però, che coraggio”, hanno commentato gli americani, non accorgendosi che Monda abita al primo piano.

La caccia a Michael Moore procedeva in tutti i ristoranti del quartiere. Da Ouest non c’era, nemmeno da Nice Matin, neanche da ‘Cesca (dove però è stato catturato Tom Brokaw). Da Shun Lee era impossibile, perché le porzioni sono piccole mentre se ordini da casa consegnano una quantità di roba da stare male. Una dritta del direttore di un giornale italiano, ex mercenario della Cia, lo ha fatto trovare al Cafè Luxemburg, sulla 70esima, a un passo dall’attico del regista. Moore aveva appena firmato un contratto con la Mondadori per la pubblicazione dei suoi appunti della spesa. Stava addentando il Luxemburger, un hamburger di lusso con molta cipolla. Quasi non si è accorto del colpo alla nuca. Il sangue è diventato tutt’uno col ketchup. L’Upper West Side era liberata.

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