Camillo di Christian RoccaCaro Obama, fai come Bush

Milano. Centosessantatré analisti ed esperti di politica estera americani e arabi, in gran maggioranza liberal e di sinistra, hanno firmato una lettera aperta indirizzata al presidente Barack Obama per chiedergli di promuovere la democrazia in medio oriente. L’iniziativa a sostegno di uno dei punti centrali della Freedom agenda elaborata da George W. Bush dopo l’11 settembre del 2001 è stata promossa dal Centro studi sull’islam e la democrazia, dal Project on Middle East democracy, dalla fondazione progressista newyorchese Century, dal professore liberal dell’Università di Stanford Larry Diamond, dalla Carnegie Endowment for international peace e da Freedom House. Tra i firmatari, preoccupati che la politica democratica non sarà nella lista di priorità della presidenza Obama, ci sono il saggista neoconservatore Robert Kagan, l’ex neocon Francis Fukuyama, il direttore della rivista iper progressista di cultura ebraica Michael Lerner, l’ex direttore dell’American Civil Liberties Union (Aclu) Morton Halperin, già numero tre del dipartimento di stato di Bill Clinton e oggi vicepresidente del centro studi di John Podesta Center for American Progress, l’ex direttore di New Republic Peter Beinart, il blogger e saggista di sinistra Matt Yglesias e un buon numero di dissidenti arabi e musulmani a cominciare dal leader democratico egiziano Saad Eddin Ibrahim.
La lettera si apre con le congratulazioni a Obama per l’elezione e continua, esattamente come Bush ha cercato di ripetere per anni, sottolineando gli errori americani nell’elaborazione della politica mediorientale: “Gli Stati Uniti, per cinquanta anni, hanno sostenuto frequentemente i regimi repressivi che hanno violato i diritti umani e torturato e imprigionato chi aveva il coraggio di criticarli e impedito ai loro cittadini di partecipare in attività civiche, politiche e pacifiche. Gli Stati Uniti hanno sostenuto gli autocrati arabi perché convinti che sarebbe servito agli interessi nazionali americani e alla stabilità regionale. In realtà ha prodotto una regione sempre più tormentata da corruzione dilagante, estremismo e instabilità”.
A chi fa notare che sembra di leggere un documento neoconservatore, uno dei promotori dell’iniziativa, Shadi Hamid, replica che “non è totalmente falso”, anche se il testo sottolinea che le riforme politiche non devono essere promosse attraverso la guerra, minacce o imposizioni. Per i promotori della lettera, semmai Bush è criticabile per non aver dato corso alla sua retorica idealista, per aver parlato di democrazia e di essersi ritirato alle prime difficoltà: “Nel discorso di inaugurazione del secondo mandato, il presidente Bush ha promesso che gli Stati Uniti non avrebbero più sostenuto i tiranni e si sarebbero schierati dalla parte dei militanti e dei riformatori che si battono per il cambiamento democratico. L’Amministrazione Bush, però, ha velocemente voltato le spalle alla democrazia in medio oriente non appena i partiti islamisti sono andati bene alle elezioni in tutta la regione”.
Obama, si legge nella lettera, dovrebbe ricostruire le relazioni tra America e popoli mediorientali e mettere “gli Stati Uniti dalla parte giusta della storia” (cosa che il quarantaquattresimo presidente pensa certamente di fare, stando a quanto ha detto il 12 marzo scorso alla National Defense University: “Questa nazione manterrà il suo dominio militare, avremo le più potenti forze armate della storia del mondo e faremo tutto il necessario per sostenere il nostro vantaggio tecnologico, per investire nelle potenzialità necessarie a proteggere i nostri interessi e per sconfiggere e dissuadere qualsiasi nemico convenzionale”).
La lettera aperta a Obama si conclude ribadendo che “sostenere i democratici e la democrazia in medio oriente non è soltanto nell’interesse della regione, ma anche in quello degli Stati Uniti. Anzi ciò che scegliamo di fare su questo argomento così cruciale svelerà molto sulla forza degli ideali democratici in questa nuova era”.

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