Camillo di Christian RoccaEffetti collaterali

Milano. Le buone intenzioni di Barack Obama potrebbero avere effetti controproducenti sulla filantropia e sulla beneficenza, ovvero sulla spina dorsale della società americana, ma anche sulla ricerca scientifica. Le due decisioni di Obama che preoccupano molti sostenitori del presidente sono quella di lunedì sulle cellule staminali embrionali e, soprattutto, un aspetto fiscale della Finanziaria del 2010.
La scelta di cancellare le limitazioni poste da George W. Bush al finanziamento federale sulle staminali embrionali, secondo il New York Times, potrebbe convincere quei governi statali e quei filantropi privati che negli anni di Bush hanno finanziato la ricerca a fare un passo indietro, a ritirarsi, ora che Obama ha promesso di intervenire direttamente e la crisi economica imperversa. La California, per esempio, ha stanziato tre miliardi di dollari in dieci anni per la ricerca sugli embrioni, ma a causa della crisi non sa come trovare i soldi per il 2010. Ora, secondo il Times, potrebbe pensare di approfittare della decisione di Obama di finanziare la ricerca e destinare quei fondi per coprire le falle del bilancio (41 miliardi di dollari).
I grandi filantropi, i cui patrimoni sono stati colpiti dalla crisi, potrebbero fare la stessa cosa. Anche perché il presidente Obama, con la Finanziaria del 2010, ha deciso non soltanto di aumentare le tasse agli individui e alle famiglie più ricche (quel due per cento di americani che guadagna più di 250 mila dollari l’anno), ma anche di ridurgli le detrazioni fiscali per la beneficenza. La proposta di Obama prevede l’aumento dell’aliquota marginale più alta dal 35 per cento al 39,6 per cento. Questa decisione, specie in tempi di crisi, è molto probabile che farà ridurre le donazioni, ma la Finanziaria obamiana prevede anche la riduzione delle detrazioni fiscali sulla beneficenza dal 35 per cento al 28 per cento.
Il capo dell’Ufficio del bilancio della Casa Bianca, Peter Orszag, spiega che il sistema attuale è ingiusto, perché per le donazioni si detrae la stessa percentuale dell’aliquota marginale più alta: quindi un insegnante che guadagna 50 mila dollari e decide di donarne mille ottiene una deduzione di 150 dollari, mentre Bill Gates, per la stessa cifra donata, riceve un vantaggio fiscale di 350 dollari, più del doppio dell’insegnante. In questo modo Obama conta di recuperare quasi 180 miliardi in dieci anni.

Anche la beneficenza diventa lotta di classe
Gli americani, come ha notato per primo Alexis de Tocqueville, adorano fare beneficenza, è nel loro dna sociale, fa parte del loro desiderio di migliorare il mondo e per questo aiutano migliaia di associazioni caritatevoli, sostengono la scienza, le arti, la religione, contribuiscono alla propria comunità facendo a meno dello stato. Ma c’è anche un’altra ragione, più materiale: le detrazioni fiscali rendono questa filosofia molto conveniente. Oggi chi guadagna molto e decide di fare beneficenza per 10 mila dollari, paga 3,500 dollari in meno di tasse (il 35 per cento della donazione), mentre con il sistema elaborato da Obama risparmierebbe soltanto 2.800 dollari (il 28 per cento).
Nel 2006, gli americani hanno dato in beneficenza 186 miliardi e 600 milioni di dollari, una cifra che proviene al 40 per cento proprio da chi con Obama vedrà le proprie tasse aumentare e le proprie detrazioni diminuire. Secondo uno studio della Bank of America e del Centro sulla filantropia dell’Università dell’Indiana, il piano Obama costringerà il 47 per cento dei donatori più ricchi a diminuire i contributi, per un totale di dieci o dodici miliardi di dollari l’anno.
Il Wall Street Journal ha segnalato che c’è in corso una rivolta delle istituzioni di sinistra che vivono di donazioni – università, associazioni nonprofit e caritatevoli – ma anche il presidente della Commissione finanze del Senato, il democratico Max Baucus, non è affatto convinto e chiede di approfondire meglio la questione. Manifesti, appelli e petizioni sono in via di preparazione, ma secondo il giornale di Wall Street, più che questi singoli provvedimenti, a preoccupare è l’intero approccio obamiano, la sua politica fiscale redistributiva volta a trasformare anche la beneficenza in una battaglia di classe. Obama, scrive il Journal, è convinto che sia giusto togliere i soldi ai ricchi per trasformare lo stato in una mega associazione caritatevole, a cominciare dalla sanità per tutti. E di conseguenza non si preoccupa della possibile diminuzione della beneficenza, perché se dovessero mancare i soldi privati il vuoto sarà colmato dall’intervento dello stato pagato dai concittadini che guadagnano di più.