Milano. La risposta del Dipartimento di stato “è stata patetica”, ha scritto sul New York Times il paladino della campagna per fermare il genocidio in Darfur, Nicholas Kristof. Addirittura, secondo il columnist del Times, “le Nazioni Unite hanno reagito con molto più vigore dell’Amministrazione Obama, specie all’inizio”. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – ha spiegato Kristof – si è battuto come un leone, ha provato a coalizzare le nazioni confinanti con il Sudan, mentre Washington ha fatto poco o nulla. A fare notizia, in questi giorni, non è soltanto il mandato di cattura della Corte penale internazionale contro il presidente sudanese Omar al Bashir, considerato il principale responsabile della violenza nella regione occidentale del Sudan, e nemmeno la pronta rappresaglia del leader militare di Khartoum che ha subito cacciato dal paese le organizzazioni non governative, ma anche la blanda reazione del nuovo governo di Washington, guidato per la prima volta da un presidente con dirette origini africane.
L’atteggiamento dell’Amministrazione Obama risulta incomprensibile a chi si aspettava dal neopresidente una nuova era di politica estera umanitaria e di rispetto delle decisioni multilaterali e delle iniziative nate all’interno delle istituzioni internazionali. Il portavoce del presidente non ha voluto nemmeno dire se Obama sostiene o meno la richiesta della Corte (ma venerdì il portavoce del Dipartimento di stato ha detto che la richiesta dell’Aia è stata un passo a favore della pace). Ora che c’è un intervento diretto della Corte penale dell’Onu (di cui però l’America non fa parte), la Casa Bianca non sostiene l’iniziativa per risolvere la crisi sudanese con le armi del diritto internazionale, ma preferisce non commentare, invitare le parti alla “moderazione” e definire soltanto “insensibile” la contromossa di Bashir di cacciare gli operatori umanitari.
Anche in Italia c’è chi, come il giurista Antonio Cassese, grande sostenitore dell’idea di giurisdizione penale universale da studioso e da presidente del Tribunale dell’Aia, ora è abbastanza scettico sull’iniziativa della Corte penale internazionale contro Bashir, causa impraticabilità del mandato di cattura, pur mantenendo tutto il rammarico perché nessuno ha il coraggio di mettere sotto inchiesta per i loro “crimini” gente come “Bush, Rumsfeld e altri”.
Obama e i suoi, peraltro, non sono insensibili alla questione sudanese. Erano tre i senatori di Washington più impegnati a mobilitare le coscienze per fermare il genocidio in Darfur: Obama, Joe Biden e Hillary Clinton. Con loro, a battersi contro lo sterminio e la pulizia etnica da parte dei miliziani nomadi arabo-islamici, c’era il gotha intellettuale dell’interventismo umanitario liberal, dall’ex funzionaria clintoniana Susan Rice, alla studiosa di Harvard e premio Pulitzer Samantha Power. Ora che Obama è diventato presidente, Biden vice, Hillary segretario di Stato, Rice ambasciatrice alle Nazioni Unite e Power membro del Consiglio di sicurezza nazionale, il mondo si aspettava che l’America avrebbe fatto un passo in più rispetto agli slanci umanitari di Bush fermati da Condi Rice e Stephen Hadley, i consiglieri per la sicurezza nazionale, per mancanza di “interesse nazionale” americano nella regione.
Dal 2003 almeno 250 mila persone, forse mezzo milione, sono state uccise dai “diavoli a cavallo” e oltre due milioni sono state costrette a lasciare le loro abitazioni. Nel 2003 Bush aveva messo il Sudan nella lista degli stati che sostengono il terrorismo e nel 2007 ha imposto sanzioni economiche. Il senatore Obama ha sostenuto la legge sul Darfur, firmata da Bush nell’ottobre del 2006, che definiva il conflitto sudanese un “genocidio”, chiedeva all’Unione africana di inviare più truppe nella regione e sosteneva l’inchiesta per crimini di guerra della Corte penale internazionale. Pochi mesi fa, Obama assieme a Hillary Clinton e John McCain, ha firmato un documento che accusava il governo sudanese per le violenze in Darfur. Il mandato di cattura, nato sotto l’egida dell’Onu, avrebbe dovuto essere il coronamento dell’idea liberal che le relazioni internazionali vanno affrontate con la forza del diritto e nell’ambito delle istituzioni sovranazionali. “Obama, Biden e Clinton – scrive Kristof – sono stati molto tosti sia al Senato sia durante la campagna elettorale, speriamo che non si tireranno indietro ora che sono stati eletti”. Al momento, l’iniziativa più importante di Obama è stata incontrare alla Casa Bianca l’attore, e testimonial della campagna “Salva il Darfur”, George Clooney.