Sta finendo davvero male questa stagione calcistica italiana. Nelle competizioni europee non ci siamo più da un pezzo e ci consoliamo soltanto all’idea che potremo vedere un altro paio di volte il clasico Barcellona-Real Madrid, il meglio che oggi il pallone possa offrire. Il campionato è finito domenica scorsa ed è stato di così basso livello che il Milan alla fine non ha avuto neppure bisogno di Ibrahimovic per vincerlo (ma quanto è costato: il club di Berlusconi ha chiuso l’ultimo bilancio in rosso di quasi 70 milioni per farsi eliminare negli ottavi di Champions dal Tottenham che annaspa in Inghilterra). Nella Lega di Serie A i presidenti sono di nuovi scesi sul piede di guerra l’un contro l’altro armati, anzi grandi contro piccoli, in palio qualche decina di milioni, residuo della torta dei diritti televisivi (e chissà che cosa succederà il giorno in cui Sky e Mediaset, non dovendosi fare concorrenza perché tutti e due possono dare tutto in diretta, la smetteranno di fare i nababbi e faranno crollare il valore di questi diritti). E ora, oltre a tutto questo, ci hanno “sottratto” anche Inter-Roma, l’unica partita che in questi ultimi anni tristi ci ha risvegliato dal torpore del campionato più moscio d’Europa. Duelli scudetto, Coppe Italia, Supercoppe: 24 partite nelle ultime cinque stagioni, bilancio favorevole all’Inter, ma nemmeno tanto se poi si considerano i trofei vinti, undici vittorie, sei pareggi, sette sconfitte, soprattutto tanti gol, 84, 46 a 38 per l’Inter.
E invece l’avete vista l’altra sera la semifinale di andata di Coppa Italia? Sembrava una stanca rimpatriata fra scapoli e ammogliati. Da una parte, le vecchie glorie di Mourinho intente a limitarsi al minimo sindacale, giusto quel che bastava per far finta di essere sani, ma soprattutto per dire a Leonardo: ragazzo, fatti più in là, come ti permetti di punire Maicon, Motta e Sneijder, di lasciare in panchina Cambiasso o Stankovic, di dubitare di Zanetti, qui i padroni siamo noi, fuori squadra semmai devono restare i nuovi, da Pazzini a Kharja ai pupilli di Benitez (i vari Coutinho e Mariga), che già ha avuto il fatto suo. E dall’altra parte, l’emblema di una non squadra, giocatori allo sbando, alle prese con le loro preoccupazioni per il futuro, ma chi sarà davvero questo zio Tom, che cosa vorrà da me, che fine mi farà fare? Con l’aggravante di avere in panchina uno che si sente peggio di loro, strappato al suo lavoro di istruttore di adolescenti per essere gettato improvvisamente in un’avventura più grande delle sue possibilità attuali, senza sapere se davvero c’è almeno una speranza di lieto fine.
Troppi pensieri. Logico che non si giocasse al calcio. Con il paradosso del freno tattico ulteriore di due come Leonardo e Montella, che pure in campo davano spettacolo e se la prendevano con quegli allenatori (come Capello, per esempio) che ne limitavano estro e minutaggio magari per mettere un difensore in più. E oggi invece, sedutisi loro in panchina, si sono più o meno rapidamente (per Leonardo per la verità era la prima volta) convertiti alla religione del risultato. Puro catenaccio ancien regime l’ultima mezz’ora dell’Inter, solo dettate dalla paura le istruzioni tattiche di Montella (nel primo tempo sui corner andavano in area a saltare soltanto quattro giallorossi per paura del contropiede).
E allora non resta che lanciare un appello a Moratti e alla DiBenedetto’s new company: per favore, almeno aridatece Inter-Roma.
20 Aprile 2011