“E’ molto probabile che sin dall’acquisto del vostro primo cellulare abbiate finanziato la guerra civile in Congo”. Frank Poulsen, filmaker danese, autore del documentario Blood in the Mobile, ha la tipica aria del turista nordico che gira l’Europa in bicicletta. Non me ne voglia ma è così. Forse anche grazie al suo accento inglese vagamente sincopato t’ispira subito simpatia, pare innocuo. Gran vantaggio per un giornalista investigativo. Frank, a riprova che l’abito non fa il monaco, ha infatti girato il film (a mio giudizio) più importante degli ultimi anni e assestato un destro poderoso sul grugno di un Golia sino ad oggi percepito come emblema di purezza: la Nokia.
Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi 5 milioni di persone sono morte in Congo e 300 mila donne sono state stuprate dai miliziani. Il paese è stremato. Eppure la Repubblica (sic) Democratica del Congo è piena di risorse naturali preziose, in particolar modo minerali. La solita maledizione. Ricchi ma poveri. Il fatto è che, a questo giro, siamo tutti complici. Cellulari, smartphone, laptop, netbook: archi, frecce, pietre focaie del nostro tempo. Dentro, nel loro DNA, i metalli estratti dai minerali del Congo. Che, come ha decretato l’ONU, di fatto finanziano i signori della guerra. Forse ne avrete sentito parlare di sfuggita, si chiamano in ‘gergo’ “conflict mineral”. Bene. Frank ha deciso di vedere coi suoi occhi cosa accade nelle miniere dimenticate della jungla così che nel resto del mondo ci si possa scrivere tvb via SMS.
Blood in the Mobile – proiettato in anteprima al Frontline Club di Londra – diventa in questo senso un viaggio dantesco. Frank in quei buchi scavati nella foresta ci entra con la telecamera, tra le grida scandalizzate dei minatori. Che di fatto sono schiavi. A Bisie – solo una delle centinaia di cave più o meno legali amministrate dalle truppe regolari congolesi, da bande armate o dai tagliagole del Democratic Forces for the Liberation of Rwanda – vivono accampate in mezzo alla jungla 15-25 mila persone. Per entrare in miniera devono pagare il pizzo, poi devono pagare il pizzo sul materiale scavato, quindi pagare il pizzo se vogliono uscire dal ‘villaggio’. Morti, sfruttamento del lavoro minorile e sfruttamento della prostituzione sono all’ordine del giorno. Tutto per una ‘paga’ che oscilla tra 1 e 5 dollari al dì.
Ecco, queste pietre che producono morte e disgrazie finiscono in maniera più o meno legale nei centri industriali asiatici che ne fanno metallo. E quindi nei componenti elettronici. Ora, Frank se la prende con la Nokia perché un cellulare su tre nel mondo è suo. Fissa gli standard, diciamo. Quando poi va in Finlandia, al quartier generale, a grigliare un pochino i dirigenti, l’ottimo Poulsen scopre che l’azienda conosce il problema fin dal 2001 – ovvero 10 anni fa. Sintetizzo: ci stiamo lavorando, è una questione complicata, stiamo mettendo a punto codici di condotta nella filiera produttiva, non siamo i soli. Il vecchio ritornello delle soluzioni globali ai problemi globali, insomma. Che poi non è vero. Gli USA, infatti, si stanno dando una legge per obbligare le loro aziende elettroniche a tracciare l’impiego dei “conflict mineral“.
Un impatto c’è già stato. Apple e Intel, ad esempio, hanno annunciato grandi riforme. La mela – iPhone, iPad e soci sono zeppi di metalli – dice nel suo sito di aver iniziato “mappando” la filiera di approvvigionamento, di aver conddotto degli audit sui fornitori, di “stare lavorando” con le associazioni di categoria – EICC e Global e-Sustainability Initiative (GeSI) – per arrivare a utilizzare minerali “conflict free”. Il che vuol dire però che rivoluzione digitale e raddoppio del titolo a Wall Street Cupertino lo ha raggiunto anche sulle spalle e sulla pelle degli schiavi di Bisie. Global Witness, mentre si lavora al sol dell’avvenire, ha una proposta: pubblicare subito i nomi delle aziende che fanno parte della filiera, così che si vedano subito santi e peccatori. Silenzio.
PS: E’ davvero un film importante, Blood in the Mobile. Peccato che stia girando il mondo e l’Europa, ma non in Italia.