In un lungo articolo il New York Times racconta come è maturata la recente pubblicazione dei documenti segreti su Guantanamo.
Julian Assange, fondatore di Wikileaks, aveva deciso di non condividere i files con il New York Times e il Guardian, come era invece avvenuto in passato. Aveva scartato il primo perché aveva pubblicato alcuni articoli che lo riguardavano (in particolare sui processi per stupro in Svezia); il secondo perché alcuni mesi fa aveva condiviso altri files ricevuti da Wikileaks con Channel 4 senza un accordo preventivo. Così in questa occasione, alcune settimane fa, aveva deciso di escludere i due giornali e di condividere i files con il Washington Post, alcune testate della catena McClatchy e il Telegraph di Londra.
Ma i giornalisti del Times sono riusciti a procurarsi i documenti da un’altra fonte, e hanno deciso di passarli all’alleato Guardian e alla rete NPR (National Public Radio). Insieme a loro, dopo un’attenta analisi, hanno deciso la data di pubblicazione: sabato scorso. Una decisione che ha obbligato il Washington Post e gli altri giornali ad accelerare i piani per uscire lo stesso giorno.
Da questi ultimi sviluppi emergono alcuni elementi interessanti:
1. Se è vero quello che sostiene il Times, il comportamento di Assange non è neanche lontanamente trasparente. Il fondatore di Wikileaks condiziona la condivisione dei propri dossier a un trattamento di riguardo sulle sue questioni personali. E questo non è accettabile: ricorda il comportamento di molti uffici stampa, che barattano informazioni esclusive con la pubblicazione di articoli concordati su argomenti spinosi (o di soffietti pubblicitari).
2. Il fatto che il Times sia comunque riuscito a procurarsi i files riservati indica che l’era della Wikileaks di Assange potrebbe essere al tramonto. Altri Wikileaks stanno nascendo. Lo stesso New York Times ha annunciato di voler creare un’iniziativa di questo tipo, vedi Linkiesta qui).
3. Il fatto che il Times abbia deciso di condividere i files con altre due importanti testate è novità. Indica che in tempi magri come questi (con le redazioni sempre più ridotte all’osso) per mantenere alti gli standard di qualità, è necessario creare alleanze su singoli progetti per la (costosa) verifica delle informazioni.
4. Ha ragione Yochai Benkler, co-direttore del Berkman Center for Internet and Society della Harvard University che, citato dal Times, dice: “I files di Guantanamo confermano che il futuro del Quarto Stato in rete sarà un miscuglio di modelli tradizionali e online, contemporaneamente in cooperazione e in competizione su scala globale. E questo comporterà relazioni feconde ma assai difficili da gestire”.
27 Aprile 2011