Arabic PortraitsNew Babilon

Nuova Babilonia. Moderna Babele. Ottocentoventotto metri di grattacielo che sfidano il cielo, prima struttura umana a superare gli 800 metri: il Burj Kalifa, la torre dello sceicco. Persone proveni...

Nuova Babilonia. Moderna Babele. Ottocentoventotto metri di grattacielo che sfidano il cielo, prima struttura umana a superare gli 800 metri: il Burj Kalifa, la torre dello sceicco. Persone provenienti da oltre 160 paesi differenti, con lingue che si incrociano, sovrappongono, mescolano insieme a culture, colori, sapori, odori. E poi il fuoco: del sole, della sabbia del deserto, del caldo e dei pozzi di petrolio. E il bianco accecante: della luce, del riverbero del mare, delle moschee, dei vetri dei grattacieli, del marmo degli hotel cinque (o anche sette) stelle e dei pavimenti dei mall. Intensa e spiazzante. E’ Dubai. “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Sí, ogni speranza di comprenderla con occhi europei.

Non é facile abituarsi a vivere qui. Il primo concetto a dover cambiare nella mia mente é quello dello spazio: Dubai non ha centro, non ha confini, non ha periferia. E’ una città senza coordinate, senza punti di riferimento. E’ sparsa nel deserto e corre lungo il mare per quasi 60 chilometri. Impossibile da concepire per noi. Normale per chi ha sempre vissuto da semi nomade, nel deserto, dove lo spazio perde le dimensioni. Giá, la ricchissima famiglia reale che Governa il Paese é originaria di una piccola oasi, Liwa, nel bel mezzo del Quarto Vuoto, uno dei deserti più vasti e inospitali del mondo che tocca Emirati, Oman e Arabia Saudita. Era solo un piccolo villaggio di cammelli e datteri prima della scoperta del petrolio.

Così comincio a comprendere qualcosa e i grattacieli sparsi, l’assenza di vie, i quartieri scollegati tra loro, come città nella cittá, acquistano un senso. Allora Dubai é molto di piú: é l’invenzione visionaria di Sheik Zayed, “our father”, come lo chiamano qui, il fondatore degli Emirati Arabi Uniti, nato e cresciuto tra sabbia e frasche di palma. Allora lo stupore cresce di fronte alla grandiositá dei grattacieli e alle centinaia di progetti che superano ogni piú fervida immaginazione: costruzioni che ruotano seguendo il sole, parchi e giardini irrigati da chilometri di tubi sotterranei, centri commerciali grandi come cittá, isole artificiali di ogni genere e forma (tre palme e un mondo), locali in fondo al mare, acquari che si attraversano camminando e non solo neve artificiale per la famosa pista da sci a meno tre gradi nel deserto, ma addirittura pioggia finta per portare sollievo durante le soffocanti giornate estive. E’ troppo peró, di nuovo i miei occhi di vecchia Europa si bloccano e non comprendono piú: che cos’é questa cittá? La natura non si ribellerà alla violenza con la quale l’uomo l’ha stravolta? La sabbia non inghiottirá ció che le é stato portato via?

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’Oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. (Genesi 11, 1-9)

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