Tra le molte invenzioni del Novecento che sono nate in America si deve riservare un posto anche alla parola nerd. Per questo quando oltreoceano si dichiara che un libro come quello di Nugent, Storia naturale del nerd, rappresenta la trattazione più autorevole su questo tema, bisogna prestare attenzione alla loro opinione. Da poco ISBN ha proposto la traduzione in italiano del testo, illuminando anche noi sui miracoli compiuti dai “ragazzi con gli occhiali”. Nelle loro schiere sono annoverati personaggi come Bill Gates, Larry Page, Steve Jobs, George Lucas, Mark Zuckerberg, per cui il nerdismo vanterebbe un ruolo di primo piano nella fondazione della cultura e dello stile di vita contemporanei.
Il nerd non ha scampo: lo si riconosce al volo dell’abbigliamento, dall’inettitudine sociale, dalla maniacalità con cui costruisce le sue competenze. Nugent rifiuta di ammettere l’esistenza di un insieme di argomenti o di discipline che caratterizzino l’essenza dei suoi eroi: non è legittimo restringere le loro passioni soltanto alla tecnologia, ai giochi di ruolo basati sulla letteratura fantasy, ai videogiochi, alla fantascienza e alle scienze matematiche. Nugent snocciola esempi che sono tratti dalla sua esperienza personale e dalle interviste che ha condotto per smentire ogni connessione tra le difficoltà di socializzazione dei nerd e i loro argomenti di conversazione preferiti. Purtroppo una delle conseguenze involontarie di questa sequenza di esclusioni è che l’identità della tribù debba davvero essere contrassegnata dall’abbigliamento trasandato e dalla flaccidità fisica dei suoi membri.
Per un ragazzo che esce dai licei e dalle università americane la questione fisica assume un ruolo di primaria importanza. Gli istituti scolastici sono gli eredi della tradizione pedagogica che Jon Savage definisce “cristianesimo muscolare”, e che hanno rappresentato la risposta formativa alla nascita della cultura di massa nella seconda metà dell’Ottocento. Nel mondo anglofono, il modello formativo destinato a mettere in salvo i figli della borghesia dalla contiguità con il proletariato urbanizzato passava attraverso una didattica fondata sullo sport e sulla morale religiosa. Muscoli e agonismo di squadra rinforzano i valori della lealtà, del coraggio, dello spirito di collaborazione e alimentano la sana virilità dell’istinto di competizione, tenendo lontani i ragazzi dalla promiscuità morale degli operai suburbani e dai vizi che infiacchivano il corpo dei loro figli. L’impero britannico e l’economia emergente americana avevano bisogno di forza imprenditoriale abituata fin dalla tenera età a misurare il successo in spesa muscolare e in punti conquistati sul campo; avevano allo steso modo necessità di soldati con cui sostenere l’impegno coloniale e le future guerre mondiali.
La fine dell’Ottocento e il primo Novecento hanno conosciuto la manipolazione scientifica della psicologia delle masse, e l’«invenzione dei giovani», la pianificazione propagandistica e commerciale del periodo intermedio tra l’infanzia e l’età adulta. Per chi non poteva permettersi il liceo sono nati i boy scout di Baden-Powell e le altre associazioni paramilitari giovanili, che hanno vissuto nell’Europa continentale le derive fasciste degli anni Venti e Trenta; per tutti coloro che non potevano aderire all’associazionismo volontario, sono nati i fumetti, la letteratura commerciale, il nickelodeon e poi il cinema.
Il vissuto giovanile in prima persona, o la sua contemplazione estetica attraverso le strisce dei comics o la pellicola cinematografica, hanno presidiato la divulgazione per tutti dell’ideologia del cristianesimo muscolare; ma i tipi antropologici che sono emersi da questi percorsi sono stati diversi, anche quando coloro che appartenevano alla seconda classe hanno potuto frequentare i licei e i college. Nugent riassume questo percorso storico, ma con atteggiamento tipicamente americano questa ricapitolazione non serve a ricostruire una genealogia, ma a mostrare che i nerd sono sempre esistiti, anche quando non era nemmeno disponibile una parola per etichettarli. Il termine compare per la prima volta in un libro per bambini del 1950, If I Ran the Zoo, per indicare un animale immaginario; negli anni successivi comincia a denotare individui noiosi o incapaci di avere sensibilità per le mode. A parte un articolo su Newsweek nel 1952, la parola comincia a circolare nel linguaggi comune negli anni Sessanta, e raggiunge il vertice della notorietà negli anni Settanta con Happy Days. Ma se qualcosa esiste nell’America contemporanea, deve essere sempre esistito; sulla base di questo semplice assioma Nugent rintraccia nerd nei libri della Austen e di Forster, e non concepisce che la storia da lui ripercorsa abbia generato un tipo antropologico, ma ritiene ne abbia solo messo in luce la persistenza eterna.
Il nerd diventa così tutto ciò che non è cristianesimo muscolare: razionalità, precisione, mediazione, pacifisimo, dedizione. Il collezionismo maniacale dei nerd tende a sfuggire a Nugent, la trasformazione delle loro stanze e delle loro vite in database di fascicoli, videogiochi, gadget, pupazzetti, non sembra interessarlo granché. Eppure il suo libro è una collezione di testimonianze e di esperienze di questo tipo. Le preferenze estetiche si iscrivono sul corpo e sulla vita del nerd come i muscoli rigonfiano quello dei suoi colleghi apprezzati dalle ragazze. Ma alla fine tutti sono gli eredi della manipolazione scientifica delle masse: muscoli o Dungeons&Dragons, punteggi di partite o personaggi di narrativa commerciale – l’estetizzazione di frammenti da collezione si sostituisce ad un pensiero che sia in grado di alimentare una visione politica di largo respiro.