Nello stesso giorno in cui l’Economist ha accusato Silvio Berlusconi di aver «fottuto un intero Paese» – screwed in inglese è ben più forte di “fregato”, ma evidentemente la stampa italiana non se l’è sentita di tradurre a modino – l’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha suggerito l’idea che il governo britannico stia facendo più o meno la stessa cosa a casa sua. Conservatori e Liberaldemocratici, ha scritto il capo effettivo della Chiesa d’Inghilterra in un editoriale sul New Statesman, storico settimanale della sinistra d’Oltremanica che Williams ha diretto per un numero, stanno introducendo con «notevole rapidità» «riforme radicali» su servizi fondamentali come sanità e istruzione senza che nessuno «lo abbia scelto con il proprio voto». Morale. La nazione è «spaventata», «in preda all’ansia», «frastornata». E da più parti ormai ci s’interroga «sul concetto stesso di democrazia».
Ecco, ce ne sarebbe abbastanza per far scoppiare un bel temporale, persino in un’epoca in cui le polemiche si rincorrono e poi spariscono come le nuvole nel rapido cielo di Bretagna. Ma l’Arcivescovo è andato oltre. La sua invettiva è arrivata a colpire al cuore il progetto politico-sociale alla base della rivoluzione cameroniana, la Big Society. Che sintetizzando un po’ si può riassumere come tentativo di ridurre l’esigenza di servizi pubblici da parte dei cittadini – non solo quindi l’erogazione in sé – a favore di un ribilanciamento del settore privato inteso come raccolta di movimenti e associazioni. Ora, siccome il diavolo sta nei particolari, per capire l’invasione di campo dell’Arcivescovo bisogna fare attenzione proprio alla connotazione “sociale” contenuta nell proposta politica di David Cameron. Come dire: se si va a toccarre l’intero impianto connettivo della collettività allora il dibattito non è più soltanto un affare di Westminster.
Cameron, insomma, ha alzato l’asticella con la sua idea di Big Society e ora ne paga le conseguenze. Secondo Williams i Conservatori hanno infatti adottato con grande entusiasmo una sorta di «socialismo associativo» senza rendersi conto che «il diffuso sospetto» ritiene sia
stata una scelta dettata da «opportunismo» o per «risparmiare denaro pubblico». «Molti – scrive ancora – hanno quindi ignorato quella parte di programma che contiene davvero iniziative per favorire la nascita di una Grande Società; il termine stesso è diventato in breve tempo stantio». Naturalmente, apriti cielo. Cameron ha risposto gelido di essere profondamente in disaccordo con Williams; Ian Duncan Smith, il ministro che sta ridisegnando il welfare britannico, ha messo in dubbio la moralità dell’intervento dell’Arcivescovo e Vince Cable, gran visir dei Lib-Dem e ministro alle Attività Produttive ha ricordato a Williams che i due partiti di coalizione hanno pieno mandato popolare perché hanno totalizzato molto più della metà dei voti alle elezioni.
Ma è davvero così? Non proprio. Nei programmi elettorali, ad esempio, non s’è fatta parola di triplicare le rette universitarie, ridurre tutto il deficit del Paese in una sola legislatura e riformare il servizio sanitario nazionale nella forma in cui si sta dibattendo ora in Parlamento. Anzi, Cameron aveva promesso di mantenere gli investimenti nell’NHS e proteggere i servizi pubblici essenziali. Dunque? Una volta saliti al potere tanti saluti? Smith ha accusato Williams di non capire come funziona la democrazia e soprattutto la politica, che deve reagire alla fluidità degli eventi. Ma la verità è che, se si guardano ai risultati delle elezioni del 2010, è difficile non dare ragione a Williams. Il 35% degli aventi diritto non si è neppure recato alle urne. I Conservatori, primo partito in termini di voti, hanno raccolto il 36% dei favori di quel 65% che ha in effetti votato. Non si arriva insomma a un quarto degli elettori potenziali e corrisponde a un sesto degli abitanti – di tutte le età – del Regno Unito. Se poi si conta che il 23% dei britannici ha votato i Liberaldemocratici – in numeri generali meno di 2 milioni di voti li hanno separati dai Laburisti – che spesso e volentieri avevano idee opposte a quelle dei Tory e per certi versi più vicine al New Labour, si capirà come quel mandato popolare di cui parla Cable sia in realtà abbastanza deboluccio.
Ora, siamo tutti d’accordo che queste valutazioni al pallottoliere hanno poco da spartire con la realpolitik. Però non stupiamoci se poi gli studenti prendono a bastonate la Rolls di Carlo e Camilla e i poliziotti scendono in strada contro i tagli. Williams, stringi stringi, da bravo pastore anglicano e fine intellettuale, mette governo e opposizione davanti a una serie di «scomode verità». Il passaggio che preferisco è questo: «la politica di afflato imprenditoriale, che cerca con successo sempre calante di affrontare la vita all’ombra dei grandi blocchi finanziari, non genera grande entusiasmo, sia che si etichetti Conservatrice o Progressista. In questa confusione, si ode via via una crescente richiesta di riflessione su cosa siano i principi basilari della democrazia stessa, anche sull’onda di quanto sta accadendo in Medio Oriente e Nord Africa».
Il rischio insomma è che, a lungo andare, a una Grande Società si contrapponga una Piccola Politica, prodotto di un ristretto circolo di elettori per professione.