Billboards.
Li vediamo tutti i giorni e forse non ci facciamo neanche più caso: sono ovunque: sui palazzi, per le strade, negli aereoporti, in stazione.
Ridisegnano l’archittetura delle città, in un certo senso la “attualizzano” dando il polso della situazione: ci dicono chi votare, cosa comprare…
Quando visitiamo altri paesi mentre l’architettura ce ne racconta la storia, i cartelloni ci parlano dell’oggi, della situazione politica, del grado di modernità, di cosa la gente consuma.
Il cartellone è violento, non puoi cambiare canale o voltare pagina: troneggia dall’alto inducendo bisogni magari fino allora sconosciuti.
Il cartellone può veicolare messaggi intelligenti, e accendere dibattiti interessanti, può ospitare delle immagini molto belle, migloirare quartieri grigi e intossicati dal cemento, connotare luoghi urbani: cosa sarebbe Times Square senza tutti quegli allegri billboards illuminati?
Il cartellone però può anche essere osceno, volgare, e alle imprese committenti poco importa se dopo poco verranno ritirati e dovranno pagare multe salate, quel che conta è che se ne parli.
Ed è pur vero che il metro dell’oscenità muta nel tempo: basti pensare che nel 1973 la bellissima campagna pubblicitaria “Chi mi ama mi segua” dei jeans Jesus fu rimossa perché considerata oltraggiosa al comune senso del pudore…
Cosa è considerato osceno oggi nell’era dell’ufficializzazione dell’osceno? Quando il potere che dovrebbe dare la Norma è diventato la messa in scena della trasgressione?
Forse si potrebbe tentare un esperimento e seminare il germe per una piccola rivolta.
Se è vero, come dimostrano diversi studi di marketing, che i billboards agiscono su di noi a livello subliminale per il solo fatto di entrare nel nostro campo visivo, cosa accadrebbe se prendessimo tutti i cartelloni pubblicitari di una città e li riempissimo di bellissime fotografie?
Le montagne di Ansel Adams, le nuvole di Alfred Stieglitz, i campi di Joel Meyerowitz…