Il nostro Paese vive un momento drammatico. C’è difficoltà crescente in molte famiglie, il risparmio e la ricchezza si stanno assottigliando, c’è un disagio occupazionale in espansione, nelle imprese si aspetta ad investire, le banche cominciano ad alzare i tassi. Se si dovesse fermare il credito bancario sarebbe l’avvitamento definitivo della crisi. Occorre uno scatto d’orgoglio, non possiamo subire senza reagire la prospettiva di un downgrade del nostro Paese.
Il deterioramento della situazione da agosto in poi ha cause esterne, dovute alla titubanza europea nel trovare una soluzione alla crisi greca, a cui si aggiungono cause interne, strutturalmente irrisolte. I problemi sono noti: debito pubblico imponente, immobilismo sulle riforme strutturali, record di pressione fiscale sui produttori, scarsa crescita e poca occupazione.
Il punto centrale è che gli investitori, sia italiani che internazionali, non hanno più fiducia nella capacità della politica italiana non solo di risolvere, ma persino di capire la serietà dei problemi che ci stanno di fronte.
Le soluzioni ad oggi approntate, con il continuo ridisegnarsi della manovra economica, sono ancora inadeguate a risolvere il problema e condannano il Paese a una lunga stagione di recessione, oppressione fiscale, riduzione indiscriminata dei servizi pubblici, senza toccare in modo significativo gli sprechi, i privilegi, le rendite, i veri nodi che bloccano il Paese. Di fronte ai pesanti sacrifici richiesti alle imprese, alle famiglie, alle amministrazioni locali non si riesce ad individuare nessun beneficio prospettico. Anzi di questo passo rischiamo di diventare vittime di nuove tasse e di un’ondata di privatizzazioni contro l’interesse nazionale.
Secondo noi, però, non è solo colpa della politica. Vista dall’esterno l’Italia è un paese che non può ispirare fiducia, appare sempre più diviso, paralizzato dai veti incrociati di troppe corporazioni, in preda ad una rissa continua, incapace di elaborare un progetto, una storia in cui credere, una visione convincente del suo futuro. Il sistema paese ha una necessità estrema di serietà e di cambiamento.
La posta in gioco è altissima. La situazione italiana ha, infatti, un effetto domino anche sulla stabilità dell’Euro. Senza l’Europa e senza l’Euro sarebbe il caos sociale ed economico, con conseguenze inimmaginabili.
Chi scrive questo documento è convinto che sia giunta l’ora di dimostrare di avere dignità e orgoglio e che sia necessario reagire con gesti concreti e con vero spirito nazionale. Bisogna che si torni a parlare subito e solo di riforme, di crescita, di creazione di occupazione, di welfare sostenibile. Queste sono le vere priorità.
Avvertiamo un’esigenza di mobilitazione e di partecipazione sulle cose che occorre fare, con la massima urgenza, per contrastare questo arretramento su un piano inclinato che ci condanna tutti. Nonostante le cose da fare siano tante e complesse, le linee guida che dovrebbero ispirare il cambiamento ci appaiono chiare.
- Centralità dell’impresa. Bisogna rimettere al centro chi rischia e crea lavoro. E’ necessario incentivare la nascita e la crescita delle aziende. È solo con la capacità di produrre ricchezza che usciremo da questo vicolo cieco. La competitività delle imprese è il motore del paese.
- Carichi fiscali. Bisogna abbassare il carico fiscale per i lavoratori dipendenti e ridurre le aliquote sugli utili d’impresa, togliendo in tal modo ogni possibile giustificazione morale all’evasione. Solo in questo modo si può avviare una guerra senza quartiere all’evasione ed al lavoro in nero.
- Patto generazionale. Bisogna far uscire l’Italia dalla trappola della generazione 1000 euro, che non può né crescere né investire. Per farlo occorre siglare un patto intergenerazionale contro il precariato. Bisogna dare una scossa a quei 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. Per farlo bisogna ripensare, completamente e senza pregiudizi, al modello di welfare di garanzia del lavoro e rendere più meritocratico il nostro sistema dell’istruzione, a tutti i livelli.
- Federalismo fiscale. Bisogna fare senza indugio un’autentica riforma fiscale in senso federale, che deve essere un modo per responsabilizzare gli amministratori e diminuire i trasferimenti di sussidio a politiche di spesa clientelare. Abolire l’Ici e togliere i trasferimenti ai Comuni virtuosi sono due esempi di quello che è sbagliato fare.
- Riforma della giustizia. Bisogna riformare la giustizia civile e penale. I tempi della giustizia in Italia non sono compatibili con uno Stato di Diritto e, oltre che togliere fiducia nelle istituzioni, rappresentano, soprattutto per gli investitori stranieri, un forte disincentivo agli investimenti nel nostro Paese.
- Infrastrutture. Bisogna avviare senza indugi quelle infrastrutture, non solo strade e ferrovie ma anche wi-fi e banda larga, che permettono alle imprese di crescere e competere, di creare occupazione e sviluppo. Bisogna far ripartire i cantieri subito e uscire dalla mentalità No-Tav.
- Riforma delle pensioni. Bisogna dare definitiva attuazione alla riforma del sistema pensionistico avviata 15 anni fa abolendo i tanti privilegi ancora presenti. L’età pensionabile va adeguata per tutti alle accresciute aspettative di vita e resa più flessibile dando libertà di scelta all’uscita. Al contempo bisogna aumentare la popolazione attiva impostando un welfare più amico delle donne e quindi più attento alla natalità.
- Immigrazione. Dobbiamo essere capaci di coniugare tolleranza zero con chi delinque con la capacità di attrarre immigrazione di qualità e far diventare italiani ed europei i tantissimi immigrati onesti che mandano avanti una parte importante del nostro paese.
- Riforma elettorale. Da ultimo, ma non per ultimo, bisogna modificare la legge elettorale. Tornare ad una selezione dal basso della nostra classe politica è una precondizione imprescindibile per il buon funzionamento della nostra democrazia.
Infine, ci sembra che sia necessario che si torni a fare politica, quella alta, quella vera, quella che in un momento come questo servirebbe ma che non si scorge da nessuna parte. Non esistono uomini soli al comando. Esiste un Paese da guidare fuori dalla tempesta. Esiste la responsabilità di tutta la classe dirigente nel disegnare un strada percorribile. Come fu nel dopoguerra bisogna ritrovare una spinta ideale e tornare con coraggio a occuparsi del bene comune.
Indipendentemente da quello che pensate, votate o voterete, riteniamo sia necessario far capire a chi ci governa che è fondamentale un cambio di passo. Non possiamo affondare. Dobbiamo riportare l’Italia in Europa, subito!
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