Il passo laterale di Berlusconi segna indubbiamente l’avvio di un cambiamento. Verso dove è ancora tutto da verificare. Gli scenari nel sistema politico nazionale diventano, di colpo, quasi tutti da riscrivere. E non solo nel centrodestra, perché anche nell’area di centrosinistra è assai probabile questa vicenda genererà mutamenti. Il ruolo assunto in questa fase dall’UDC, il peso che potrebbe avere un ingresso più strutturato di quanto non sia fino ad ora di Montezemolo, per non dire il ruolo che il mondo cattolico potrebbe nuovamente riprendere, sono tutti fattori che potrebbero prefigurare un nuovo assetto del sistema politico nazionale. Insomma, è come se si fosse stappata una bottiglia di spumante, dopo averla agitata per un lungo periodo. Del domani ce ne occuperemo giorno per giorno, via via che i vari assetti politici si definiranno e le situazioni si decantereanno.
Fin d’ora, però, serve riflettere su come siamo arrivati fino a questo punto e, soprattutto, cosa bisognerebbe fare per imboccare davvero una strada diversa rispetto a quella fin qui seguita. Perché, seppur comprensibili per una parte del paese e comunque rimaste entro i limiti di una protesta democratica, le manifestazioni e gli insulti verso Berlusconi non lasciano ben presagire.
Rinviano – mutatis mutandis – a quanto accaduto già nei confronti di Craxi, ma il vento di cambiamento di allora ha poi preso la piega che abbiamo potuto osservare in questi ultimi vent’anni. E il paese non è assolutamente migliorato.
Allora, se è necessario approntare le urgenti misure economiche per fronteggiare la crisi, dovremmo pure riflettere se e in che misura la caduta di Berlusconi coincida con la caduta del berlusconismo, inteso come visione del mondo, come modo di vedere le istituzioni; di concepire le altre idee diverse dalle nostre; nel rapporto fra responsabilità pubblica e interesse privato, e così via.
La sensazione è che, in fondo, il premier abbia egregiamente rappresentato in sé la “medietà” degli italiani, considerato anche i consensi raccolti in questi lunghi anni. Offrendo spazio e legittimazione anche ai comportamenti più individualistici, moralmente meno virtuosi, tesi agli interessi particolari e corporativi (per usare eufemismi). Più che continuare a scaricare su di lui le frustrazioni e i disagi maturati negli anni, dovremmo oggi chiederci se e in che misura, tutto sommato, non abbiamo anche noi aderito a quei comportamenti: nel nostro piccolo, nelle nostre vicende quotidiane. Quanto saremmo noi disposti a fare un piccolo passo indietro (per chi ne ha le possibilità, ovviamente) rispetto alle nostre posizioni, per favorire la costruzione di un bene più grande, per una più equa redistribuzione delle risorse? Una nuova partenza del paese passa anche da questo. Per non ritrovarsi, fra qualche lustro, al punto in cui ci troviamo oggi.
14 Novembre 2011