Mompracem – Il mondo è tutto ciò che accadeTecnocrazia, dopo i governi anche le guerre non rispondono più agli elettori

Che un governo in situazioni di emergenza debba rispondere prima ai creditori che ai cittadini non è una vera novità, nel senso che dalla Spagna dei conquistadores all'Argentina di Domingo Cavallo,...

Che un governo in situazioni di emergenza debba rispondere prima ai creditori che ai cittadini non è una vera novità, nel senso che dalla Spagna dei conquistadores all’Argentina di Domingo Cavallo, i default degli Stati non sono certo un fenomeno che appartenga solo alla più recente modernità. Ma che si neghi di essere in guerra perché a combattere sono i robot e non i bipedi, questa sì che è una novità. E forse anche ben più pericolosa.

Era inizio dicembre quando gli iraniani hanno annunciato di avere abbattuto un drone Usa che aveva sconfinato nello spazio aereo persiano. Certo, abbattere uno strumento così sofisticato fa pensare male, viene immediato il dubbio che o i russi o i cinesi stiano aiutando in maniera massiccia il regime degli ayatollah accusato dagli occidentali di stare costruendo una bomba atomica (accusa sulla quale però un gigante del giornalismo d’inchiesta come Seymour Hersh del New Yorker nutre parecchi dubbi). E se fosse vero che c’è il loro zampino, che Mosca o Pechino stanno dando una mano agli iraniani ad abbattere droni Usa, ci sarebbe il potenziale per un fuoco d’artificio ancora più ampio di quello che già ci si aspetta con la caduta di Assad in Siria. Ma, appunto, stiamo ai droni e alla loro pericolosità.

Come ricorda un articolo della rivista NatureA world of killer app»), il presidente Obama per intervenire in Libia ha sostenuto di non avere bisogno di un’autorizzazione del Congresso perché la guerra sarebbe stata condotta con i droni. Solo l’anno scorso i mezzi aerei a pilotaggio remoto con la bandiera a stelle e strisce hanno colpito più bersagli che nei primi momenti della guerra in Kosovo. Solo che la seconda era autorizzata dal Parlamento, i primi invece no. In Pakistan, dal 2004 ad oggi, i droni hanno portato avanti 250 attacchi contro obiettivi terroristici, e in questo caso a gestirli è stata direttamente la Cia e non l’aeronautica o l’esercito. Risultato: il pubblico scrutinio è ancora più labile.

Un drone MQ-1 Predator del tipo utilizzato in Libia

Un problema, questo della guerra dei robot, destinato a crescere anche per noi che conduciamo vite pacifiche, lontane dalle zone di guerra. È di dicembre anche la notizia che pure la polizia in diverse città nordamericane inizierà ad usare i droni per sorvegliare il territorio. Prima, se voleva vedere dentro casa mia, doveva chiedere un mandato; ora le basterà un drone con sensore a infrarossi. I problemi di privacy, in questo scenario, rischiano di essere il minimo.

Ma è appunto nei conflitti bellici dove il problema è già evidente. Durante l’attacco all’Iraq nel 2003 gli Usa avevano solo una manciata di droni, ora ne possiedono 7 mila, oltre a 12 mila sistemi di terra teleguidati (e quindi sempre senza un essere umano a bordo). Adesso poi l’aviazione Usa sostiene che i robot, se individuati da un radar nemico, debbano potersi difendere. Insomma chiede che abbiano gli stessi diritti dei soldati in carne e ossa. Ma se equipariamo i diritti, allora, a maggior ragione, bando all’ipocrisia. Quella dei robot non è meno guerra di quella degli uomini. La definizione che ne dà il Devoto-Oli è «lotta armata fra Stati o coalizioni per la risoluzione di una controversia internazionale». Non è che se a farla sono i robot sia meno dolorosa anche perché spesso, se non sempre, quei robot uccidono essere umani.

Certo, negli ultimi quarant’anni per accettare l’idea della guerra abbiamo dovuto ridurla ad una specie di caccia all’uomo. Da Noriega a Saddam passando per Milosevic, ora nei conflitti portati avanti dall’Occidente si finge di poter risparmiare i civili grazie a bombe intelligenti e che il nemico non sia più la popolazione del Paese sotto attacco, ma solo il cattivone che la guida. Uno sforzo, quello di non chiamare più le cose col loro nome, che sul palocoscenico della retorica politica passa dalle gabbie del poltically correct (quelle per cui non potendo cambiare la realtà si cambia la sua rappresentazione e così i ciechi diventano «non vedenti» mentre le città continuano ad essere disegnate solo per chi ci vede benissimo) e in cui i droni sono destinati a giocare un ruolo di attori protagonisti: più intelligenti delle bombe, più ipocriti degli uomini.

Twitter: @jacopobarigazzi

PS: Quanto sia strategico questo tema è confermato da un articolo comparso poco fa sul sito del Washington Post intitolato «Under Obama, an emerging global apparatus for drone killing» di cui consigliamo la lettura.

X