La polemica sull’articolo di Der Spiegel è una gara verso il basso, iniziata colpevolmente dal settimanale tedesco. Parlare di «razza» infarcendo poi il pezzo di stereotipi non è esattamente una grande prova di giornalismo da parte di una delle testate più autorevoli d’Europa. E rispondergli ricordando i sei milioni di morti che si portano sulle spalle i tedeschi è abbassare ulteriormente il tono, col rischio di banalizzare la drammaticità assoluta di ciò che non può essere banalizzato, come ricorda sulle nostre pagine anche David Bidussa. Difficile a questo punto capire chi due abbia sbagliato di più. Come nell’Istruttoria di Peter Weiss, non ci può essere una distanza fra noi e quanto accaduto nei campi di concentramento, almeno non una distanza tale da buttarla in caciara o da ricorrere a paragoni fuori misura.
Piuttosto questo ci può servire, nel Giorno della Memoria, a riflettere, ma in un’altra maniera, su una caratteristica culturale del mondo teutonico che aiuta a capire la forza della sua Kultur come pure la sua debolezza, quella che la espone ad errori macroscopicamente drammatici e ad essere al contempo il luogo di Immanuel Kant, di Thomas Mann, di Johann Sebastian Bach…..Insomma la domanda che si pone qualsiasi frequentatore della cultura tedesca è come tenere assieme queste polarità: che ci azzeccano i fini contrappunti di Bach e la brutalità di Hitler?
La risposta la si può trovare proprio all’interno del mondo tedesco ed è una risposta che fa capire la potenza di quella cultura, nel bene, come nel male. Proprio mentre il nazismo si accingeva a dispiegare la sua brutale semplificazione dei problemi, un logico austriaco, Kurt Gödel, costruiva un teorema che ha avuto enormi implicazioni nel mondo della matematica ma anche in quello dell’informatica e dell’inteligenza artificiale (basti pensare a quella meraviglia di libro che è il «Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante – Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carrol» del matematico americano Douglas Hofstadter) e che contemporaneamente, indirettamente, spiega ciò che altrimenti difficilmente si riesce a spiegare.
Non vogliamo qui abusare della pazienza del lettore e sperando di non semplificare troppo i termini del problema, usiamo la spiegazione del primo teorema di incompletezza di Gödel che ne offre Wikipedia e che, grosso modo, suona corretta:
In ogni formalizzazione coerente della matematica che sia sufficientemente potente da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali — vale a dire, sufficientemente potente da definire la struttura dei numeri naturali dotati delle operazioni di somma e prodotto — è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all’interno dello stesso sistema
Detto in parole molto povere, la completezza va a scapito della corenza. O detto con parole ancora più povere, e traslando il significato, poste le basi di un teorema, di una formalizzazione (e nel nostro caso, per estensione, di una cultura) c’è sempre una conseguenza di quella struttura che sfugge alla struttura stessa. Tradotto: posto le basi di una cultura (Bach, Beethoven, Kant, Nietzsche, Hegel, Fichte,….) c’è sempre una conseguenza che sfugge a quel sistema (Hitler).
Nel momento in cui il mondo tedesco andava quindi a perpetrare un genocidio di quella portata, la sua cultura creava un teorema che spiegava propria quello, la propria interna fallibilità. Ed ecco l’unica cosa che possono avere in comune grandezze così incommensurabili come il nazismo e un cattivo articolo di giornale: di essere figli di un sistema che sistematizza anche la propria fallacia, sia essa drammatica (Hitler) o ridicola (Der Spiegel). Niente di più, ma anche niente di meno.