L’evoluzione delle serie televisive nell’ultima decade è palese, più che nella trama e nella sceneggiatura, nelle scelte tecniche. E’ la fotografia la vera novità delle ultime produzioni seriali. Eppure nessuno ne parla. Certo, nel cinema viene riconosciuto il suo ruolo, tant’è che una delle statuette più ambite (gli Oscar) riguarda proprio la fotografia. Per la televisione, che da sempre si configura come il cinema di serie B, tutto questo riguardo non c’è: né gli Emmy, nè i Golden Globes, nè tanto meno i Bafta britannici, includono questa categoria tra i propri premi. Quasi a dire che la fotografia dopo tutto non ha importanza. Quasi a dire che smarmellare (come diceva sempre Duccio, il direttore alla fotografia di Boris) o chiudere tutte le luci di scena non fa differenza. Errore: quell’atmosfera ovattata che tanto caratterizzava “Gli occhi del cuore”, molto stile soap opera, era il risultato di un’illuminazione sovraesposta, delle scelte sbagliate da parte del direttore della fotografia.
Una buona “immagine cinematografica” (ovvero l’insieme di fotogrammi che compongono un’opera audiovisiva) riesce a rendere sopraffini anche produzioni che, da un punto di vista di plot (trama) o sceneggiatura, sono più carenti. Perché? Semplice, l’immagine crea emozione, più di quanto possano fare le parole.
Ci sono oggi serie televisive che mostrano una cura per la fotografia maggiore di molti film che passano sul grande schermo. La strepitosa serie tv inglese Sherlock ne è un esempio: due stagioni da tre puntate ciascuna, ognuna da un’ora e mezza. Un formato inusuale per la serialità televisiva e tipico del cinema, che proprio al cinema si ispira nell’attenzione al dettaglio fotografico. Contrasti rafforzati nelle scene buie, negli inseguimenti lungo le vie a ridosso del Tamigi e nelle ambientazioni notturne. Colori desaturati nelle scene aperte, in quelle che mostrano Londra, i suoi palazzi, le sue campagne circostanti: i colori sono a tratti impercettibili, come un bianco e nero sbiadito, un po’ retrò e sicuramente di impatto emotivo. Composizioni studiate al millimetro: simmetria perfetta in alcune scene, regola dei terzi (che consiste nell’immaginare di dividere in verticale e in orizzontale l’immagine in tre parti e nel collocare il soggetto a cui si vuole dare risalto in uno dei punti di intersezione) in altre. Profondità esaltata, per dare l’idea di un’immagine reale, non appiattita.
Ma Sherlock è solo un esempio di molte serie televisive che affidano gran parte del loro significato e della loro bellezza nella ricerca dell’immagine perfetta: da Boardwalk Empire, con i primi piani che sembrano scatti degni di Yousuf Karsh, il ritrattista armeno di fama internazionale (sua la celebre foto di Sir Winston Churchill con aria imbronciata), a Game of Thrones, da Downton Abbey a Spartacus, con la sua fotografia laccata, dove l’estetica la fa da padrona nella trama e nello stile.
E voi, cosa ne pensate, quanto è importante la fotografia nelle produzioni televisive?