Per alcuni è il candidato di Sel, per altri il marchese rosso. Altri ancora lo considerano il Forrest Gump del nuovo populismo di sinistra, un personaggio che potrebbe essere replicato con successo in altre città. Il nuovo che avanza. Genova ha sempre anticipato i tempi, e anche questa volta potrebbe avere centrato l’obiettivo. La vittoria di Doria alle primarie genovesi è paradossale per almeno due buone ragioni.
La prima è costituita dalla decisione di indire le primarie e di mettere in discussione Marta Vincenzi. Non sono stati i partiti della coalizione di governo a chiederlo. A loro andava bene la rielezione di Marta Vincenzi. A volere le primarie sono stati i dirigenti locali del partito. Contestavano il programma e i risultati raggiunti dal sindaco? No. Le primarie non sono state volute per ragionare sul programma e il futuro della città. Neanche una parola è stata spesa su questo. Semplicemente, la Vincenzi era invisa ai vertici del partito locale. Era autonoma, irrispettosa, poco diplomatica, riottosa alle gerarchie del partito, troppo confidente nella propria popolarità. Antipatica a molti. Per evitare le primarie molti esponenti del partito (Sergio Cofferati, Stefano Zara e diversi altri) volarono a Roma per convincere Bersani a premere sui vertici locali e trovare una soluzione condivisa. Niente da fare. Le primarie sono state indette. Beghe di partito, hanno pensato i genovesi.
Il secondo paradosso è l’elezione di Marco Doria. Che cosa dice Doria del futuro della città? Nulla. Nessuno lo sa. Vuoto assoluto. Ha intascato il 46 per cento dei voti senza avere fornito alcun elemento di programma. Nessuno sa quello che ha in mente. Da qui il soprannome: Forrest Gump. Ma poi, avrà in mente qualcosa?
Il sottoscritto ha letto ogni parola pubblicata sul suo sito web: non c’è niente da riferire. Ha consultato tutte le interviste e le dichiarazioni pubblicate dai giornali cittadini: non c’è una sola proposta, una sola idea strategica, un solo approfondimento sui temi di una città che pure vive una crisi multi decennale. (Solo alcuni dettagli, superficiali e preoccupanti, di cui parlerò dopo). Il sottoscritto ha anche ascoltato (per molte noiosissime ore) diversi filmati pubblicati su YouTube, fedele testimonianza dei suoi incontri con i genovesi dei quartieri. Niente.
Che cosa leggo sui miei appunti dopo un simile sforzo per definire i lineamenti politico culturali del candidato Marco Doria? Solo concetti come: “partecipazione”, “consultazione”, “dialogo con i cittadini”, “ricostruzione di un rapporto con la politica”… Tutto giusto. Sul porto? Nulla. Sulla crisi dell’industria? Zero. Sulle concrete strategie di sviluppo della città? Neanche una parola, solo un profluvio di parole quasi sempre vuote di contenuto.
Solo in alcuni casi il candidato si è esposto, seppure in modo superficiale. Lo ha fatto sulla Gronda: si tratta di una strada (di cui a Genova si dibatte da decenni) che dovrebbe liberare l’area portuale dall’intasamento. La giunta Vincenzi ha sottoposto quel progetto a un defatigante dibattito pubblico (il primo in Italia) che ha impegnato gli amministratori della giunta per mesi. La città ha discusso e si è divisa, molte famiglie delle aree coinvolte sono scese in piazza, la società Autostrade ha accettato le modifiche e sta lavorando sui dettagli del progetto. Un problema annoso e strategico è stato avviato a soluzione. Che cosa dice Doria del progetto Gronda? Poche parole snocciolate qua e là in un paio interviste: “Dico no alla Gronda, così non serve”. Cosa serve? Non si sa. I comitati NoTav hanno applaudito. E sul Terzo Valico (la ferrovie veloce che collegherebbe Genova a Milano)? Un sì pieno di distinguo. “Perché non migliorare prima l’esistente?”. Vuole rinunciare al grande progetto infrastrutturale in cambio di aggiustamenti veloci? Non si sa, non lo ha detto, vedremo.
Marco Doria si è anche sbilanciato sul tema del ciclo dei rifiuti, altro argomento su cui il sindaco Vincenzi ha puntato, nel tentativo di costruire un processo che fosse economicamente sostenibile. Doria ha detto che non vuole il gassificatore e si impegna a portare il riciclaggio al 65% (neanche nel Nord Europa ci riescono): il ciclo dei rifiuti non può diventare un business, ha detto. Non ha aggiunto ulteriori dettagli. Una terza affermazione l’ha fatta sui servizi sociali: niente tagli, eventualmente aumentiamo le tasse. Tutto qui, nient’altro da segnalare. Molti discorsi sulla partecipazione dei cittadini, parecchie frecciate alla casta, zero programmi.
Possibile che un candidato simile sia stato votato dal 46% dei genovesi che hanno partecipato alle primarie? Qui bisogna fare alcuni distinguo. A Genova sono andati a votare davvero in pochi. 21mila elettori contro i 35mila di quattro anni fa. E i voti si sono concentrati soprattutto nei quartieri della borghesia. Il record di votanti è stato registrato nel quartiere bene di Castelletto, con oltre mille votanti e il 70% a Doria. Il giornalista di Repubblica Raffaele Niri, in un’attenta analisi dei risultati, scrive: «Il popolo del centrosinistra si è completamente trasformato, la “gente del Pci” non c’è più ed è stata sostituita da tanti pensionati e professionisti dei quartieri bene, Albaro, Castelletto, Foce». Sono loro che hanno scelto Marco Doria, il professore universitario, il marchese rosso, il radicale anticasta. I quartieri popolari si sono ampiamente astenuti. Molti del vecchi militanti non sono andati a votare, e c’è da pensare che lo abbiano fatto per ribellione contro un partito che proponeva loro due esponenti del partito (Vincenzi e Pinotti) che si beccavano in un dibattito spesso privo di contenuti comprensibili.
Ricapitoliamo. I vertici del partito genovese hanno chiesto le primarie per far fuori un sindaco che non amavano ma non hanno spiegato il perché: i programmi e la gestione della città non sono mai stati in gioco. Il risultato è stata la vittoria di un candidato esterno, dell’area radicale, che ha comunque lanciato una campagna completamente priva di contenuti ed è stato eletto dalla borghesia cittadina, vera trionfatrice delle primarie assieme ai militanti dei comitati antitutto, in un’apoteosi populista in cui nessuno conosce le idee del vincitore. Un bel risultato. La crisi della politica che evolve nel nulla della politica. La rivendicazione della lotta alle caste come ombrellino per coprire il vuoto delle idee.
Ora i segretari cittadino e regionale del Pd si sono dimessi. L’area cattolica del partito, quella che era migrata dalla Margherita, sembra sul punto di andarsene. Molti sono in cerca di una candidatura alternativa. Se questa non emergerà, diversi di loro voteranno la lista civica di Enrico Musso, deputato eletto nelle liste del Pdl ma poi uscito dal partito, che potrebbe avere l’appoggio dell’Udc. Oppure, forse, sarà eletto Forrest Gump. Se poi dimostrerà di essere un sindaco fantastico, questa sì che sarà una rivoluzione. E un esempio per tutti. La nuova politica è servita.