Colpo di taccoIl rogo egiziano e la rivoluzione incompiuta

  “Una guerra pianificata” così Ehab Ali, medico della squadra ospite, ha urlato ai giornali egiziani. Il sangue dei 76 morti finora accertati che ancora bagna il campo di “gioco” del Port Said, f...

“Una guerra pianificata” così Ehab Ali, medico della squadra ospite, ha urlato ai giornali egiziani. Il sangue dei 76 morti finora accertati che ancora bagna il campo di “gioco” del Port Said, fa gridare al complotto l’ex primo ministro egiziano Essam Sharaf, per il quale questa strage può definirsi come un “un messaggio mandato alla rivoluzione”.

L’accusa principale è rivolta alle forze dell’ordine, un numero davvero esiguo di funzionari per un match che si preannunciava a rischio, per via dei rapporti ostili tra le due tifoserie. Numeri che non hanno permesso di impedire e controllare l’invasione di campo quando gli ultrà dell’ Al Masr hanno cercato (e trovato) lo scontro con quelli dell’Al-Alhy, nonostante la loro squadra si fosse imposta per tre reti ad una. Un messaggio chiaro nei confronti di chi pensa che ora l’Egitto possa fare a meno dell’esercito che ha spodestato Mubarak.

Il massacro di Port Said si lega al tumulto dello Stadio di El Cairo, dato letteralmente alle fiamme. Un rogo che ricorda quelli delle piazze dove è scoppiata la scintilla rivoluzionaria. Una rivoluzione non ancora compiuta del tutto…

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