Il 29 febbraio, il giorno che torna dopo quattro lunghi anni. Chi è nato oggi deve attendere ben 1460 giorni per festeggiare il suo vero compleanno. Mi piace immaginare che Sabrina Ancarola, blogger impegnata, abbia scelto proprio il 29 febbraio per proporre il blogging day per Rossella Urru, perché questo giorno rappresenta l’attesa e l’unicità. Attesa per il suo ritorno a casa e unicità di una storia che dovrebbe essere raccontata anche solo perché pulita e lodevole per l’Italia e che invece non riceve ancora l’eco meritata.
Rossella Urru ha 29 anni, sarda, cooperante del CISP presso il campo dei rifugiati Saharawi, in Algeria, una ragazza di cui si sa poco, come d’altronde accade per tutte quelle persone che in silenzio decidono di mettere in gioco la propria vita per offrirla agli altri. Dal 22 ottobre 2011 è prigioniera di un gruppo estremista, insieme ad altre due persone: Ainhoa Fernández de Rincón ed Enric Gonyalons. Su questo rapimento le autorità hanno posto il massimo riserbo, cosa che è comprensibile da un punto di vista tecnico-strategico, ma che a livello di comunicazione, fa diminuire lo spessore drammatico della vicenda.
Da molto tempo, con accelerazione nelle ultime settimane, il popolo di Twitter e di Facebook si sta mobilitando nella speranza di offrire visibilità alla storia di Rossella che, purtroppo, è ancora ignota a buona parte dell’opinione pubblica italiana. Questa sensibilizzazione, è avvenuta grazie a una quotidiana campagna informativa compiuta sui social network da persone che non agiscono per farsi pubblicità, ma che hanno l’obiettivo di non far cadere nell’oblio informativo il rapimento di una connazionale impegnata in una missione umanitaria.
Attraverso #freerossella, i ‘twitteri’ hanno imposto ai media il caso di Rossella Urru, il lavoro è stato poi facilitato dagli interventi di Geppi Cucciari a Saremo e di Fiorello che ha dedicato un video alla cooperante del CISP . In merito all’apporto di Twitter si è pronunciato Andrea Sarubbi, esponente del Partito Democratico, che sul suo blog ha scritto: «Per carità, un hashtag su twitter non si nega a nessuno, figuriamoci a chi se lo merita. E ben vengano pure le citazioni a Sanremo, come è stato, se questo serve a svegliare un po’ l’Italia su temi che generalmente interessano a pochi. Rossella Urru non vestiva una divisa, quando quattro mesi fa è stata rapita nel campo profughi di Hassi Raduni, e così nessuno ha scomodato finora per lei la categoria di eroe». Sarubbi ha mostrato perplessità circa l’efficacia della mobilitazione della rete, poiché pur comprendendo la buona fede della gente, il deputato mostra la paura che la celebrità dell’ostaggio possa rafforzare la posizione dei rapitori. Ha spiegato, infatti, che il riserbo è finalizzato alla liberazione di Rossella, poiché la complessità della situazione richiede la massima cautela da parte delle autorità coinvolte. Ci si chiede, però, perché lo stesso riserbo non sia stato prerogativa di situazioni analoghe di cui purtroppo sono state vittime nostri connazionali. Certo è che la morte di Fabrizio Quattrocchi (morto in Iraq nel 2004, mentre operava come guardia di sicurezza privata, reso ‘celebre’ dalla frase pronunciata prima dell’esecuzione: Così muore un italiano) sembrerebbe confermare la tesi di Sarubbi.
Quello che Sarubbi, forse sottovaluta, ma che lui stesso sottolinea ,è la necessità di far svegliare l’Italia su alcuni temi. C’è una parte di Italia che è stanca di vedere che un’altra si disinteressi di ciò che c’è al di là dei nostri confini, che si interessa ossessivamente di cose futili, non prendendo in considerazione che esiste un mondo vero oltre le immagini patinate proposte o imposte dai media. L’ignorare diffuso o il disinteressarsi del fatto che esistano persone che dedicano la loro vita al miglioramento delle condizioni di vita di altre persone è, presumibilmente, la ragione per cui il popolo della rete sta bombardando i social network con le immagini di Rossella Urru.
Rossella Urru non è l’unica cooperante che si trova in uno stato di prigionia, parlare di lei non significa dimenticare gli altri o, al contrario, spersonalizzarla al punto di farla diventare un simbolo incorporeo. Non si vuole neppure incensare la sua figura (anche perché, scaramanticamente parlando, questo sarebbe il tipico atteggiamento post-mortem tutto Made in Italy) né raccontare la sua vita privata che non conosciamo e vogliamo resti tale.
Aderire al blogging day per Rossella non significa, quindi, seguire una tendenza, ma rappresenta battersi perché la giovane donna racconta la speranza di un mondo che vuole migliorare dal basso: cooperare senza invadere e arricchire la condizione di vita altrui senza imporre modelli sociali posticci. Quel mondo che opera in silenzio, lontano dalle telecamere e dagli slogan, che si dona per donarsi, un mondo che oggi ha bisogno di essere difeso e salvato perché rappresenta la nostra chance di disegnare una realtà diversa da quella attuale. Grazie all’appello di Stefania Ancarola, oggi, ricorderemo Rossella Urru, cercando di non ferire la sensibilità e il riserbo della famiglia, ma con la certezza di agire in difesa di una ragazza che rappresenta il meglio del nostro Paese. Perché, come io stessa ho scritto giorni fa su Twitter, Rossella Urru non voleva diventare ‘famosa’, voleva solo aiutare. Ora sta a noi aiutare lei, non dimentichiamola.
Rossella Urru Libera.