Il quattro ottobre 2009, la nona sinfonia di Beethoven con le travolgenti note dell’Inno alla gioia, celebrava a Bari la solenne riapertura del teatro Petruzzelli.
Erano passati diciotto anni dalla notte del 27 ottobre 1991, quando un incendio doloso aveva colpito al cuore non solo il teatro, ma l’intera città.
Diciotto interminabili anni di un’odissea giudiziaria e burocratica che non sono serviti a fugare tutti i dubbi e i misteri legati a quel rogo. Furono invece sufficienti diciotto mesi perché quel palcoscenico che ha visto esibirsi i più grandi musicisti del mondo venisse ricostruito, più bello e superbo che pria.
Chi non è barese o non ha mai vissuto in questa città fiera e meridionalmente anomala, non può capire fino in fondo il rapporto che lega il teatro alla città.
Se Bari fosse un logo sarebbe quello di Louis Vuitton, ostentato e ripetuto fino all’ossessione, come su quelle borse in tessuto monogramma da sempre molto amate dalle signore bene della città.
Ma, se Bari fosse un luogo sarebbe senz’altro il Petruzzelli che, nato nel 1903, è riuscito a diventare un punto di riferimento internazionale e un luogo dell’anima per i baresi perché, paradossalmente, quel teatro occupa un posto nel cuore di tutti, anche in coloro che quella soglia non l’hanno mai varcata.
Celebrato dal cinema nel memorabile film di Alberto Sordi “Polvere di stelle” e da “Il giovane Toscanini” di Zeffirelli in cui recitava Liz Taylor, il Petruzzelli, da una posizione privilegiata nel centro della città, osserva guardingo e silente, da più di un secolo, vizi e virtù dei baresi.
Oggi, a quasi tre anni dalla riapertura, il teatro è stato commissariato a causa di un buco di bilancio pari a otto milioni di euro.
Per questa ragione, dal primo marzo, musicisti e maestranze lo hanno occupato. I loro contratti sono scaduti e si teme che non possano essere rinnovati. Hanno paura e per questo nessuno di loro accetta di parlare con i giornalisti. Non vogliono esporsi, mettendo a rischio così un futuro che adesso è piuttosto incerto. E basta dare un’occhiata ai bilanci per comprendere tutto il loro malumore.
Dalla riapertura, il teatro ha ricevuto trenta milioni di euro dal Ministero dei Beni Culturali e dagli enti locali, tutti sfumati in produzioni da capogiro.
Ma, ciò che colpisce maggiormente è che i contratti di lavoro stipulati sarebbero trecentocinquanta, nonostante la pianta organica ne prevedesse solo centosettantuno.
E c’è già chi avanza l’ipotesi di una presunta ‘parentopoli’ all’ombra del Petruzzelli che, sornione, anche stavolta guarda e tace, augurandosi che non sia giunta l’ora del Requiem.