Nel mirinoHenri Cartier-Bresson: il padre del fotogiornalismo in mostra a Torino

SPAIN. Valencia Province. Alicante. 1933 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos   Apre domani al Palazzo Reale di Torino una retrospettiva antologica sul padre del fotogiornalismo Henri Cartier-B...

SPAIN. Valencia Province. Alicante. 1933 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Apre domani al Palazzo Reale di Torino una retrospettiva antologica sul padre del fotogiornalismo Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004).

La mostra sarà visibile fino al 24 giugno e comprende 130 fotografie scattate fra i primi anni ’30 e la fine dei ’70.

Bresson nasce nella buona borghesia francese, da giovanissimo è affascinato dall’ambiente dei surrealisti, ma sarà una fotografia di Martin Munkácsi che ritrae le silhouette di tre ragazzi africani nudi che corrono nell’acqua del lago Tanganyika a farlo innamorare della fotografia.

“The only thing which completely was an amazement to me and brought me to photography was the work of Munkacsi. When I saw the photograph of Munkacsi of the black kids running in a wave I couldn’t believe such a thing could be caught with the camera. I said damn it, I took my camera and went out into the street.”

Da allora Bresson e la sua Leica 35 mm diventeranno compagni inseparabili per 40 anni alla fine dei quali decise di non fotografare più.

Gli amici del giovane Bresson sono i fotografi David Seymour e Robert Capa con cui fonderà, insieme a William Vandivert and George Rodger, nel 1947 la prestigiosa agenzia Magnum.

FRANCE. Paris. Place de l’Europe. Gare Saint Lazare. 1932 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

In 40 anni, Bresson ha viaggiato instancabilmente, è stato prigioniero 3 anni in un campo di lavori forzati nazista e ha coperto eventi storici in ogni parte del mondo: dai funerali di Ghandi alla Cina alla fine del Kuomintang, dal campo di deportazione di Dessau alla guerra civile spagnola, ma la sua vastissima produzione comprende anche tantissimi scatti di gente comune e ritratti ad artisti e intellettuali.

Bresson non era di sicuro uno che rifletteva sul processo fotografico, non gli interessava neanche sviluppare da solo le sue fotografie, tanto da non essere forse mai entrato in una camera oscura.

La Leica 35mm piccola e maneggevole gli permetteva di non attirare l’attenzione su di sè e poter così meglio entrare nelle situazioni senza influenzarle, non usava neanche il flash che considerava maleducato.

ITALY. Tuscany. Livorno. 1933 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Per lui tutto accadeva in quella frazione di secondo in cui decideva di scattare, Bresson ha fatto della poetica del Kairòs – “momento opportuno”- il suo stile, la fotografia si compone nel mirino e non dopo usava dire, non croppava mai le foto, non interveniva in alcun modo per modificarle, mandava i rullini a sviluppare e vedeva solo il risultato finale, spesso già stampato su qualche giornale, ma rigorosamente full frame.

“Above all, I craved to seize the whole essence, in the confines of one single photograph, of some situation that was in the process of unrolling itself before my eyes.”

CHINA. Beijing. December 1948. A eunuch of the Imperial court of the last dynasty © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Quello che mi affascina di più dei fotografi che lavorano come Bresson è questa capacità tutta loro di vedere cose che noi non vediamo, quel super occhio fotografico, la capacità di intuire con gli occhi, di sentire nell’aria che si sta componendo un’immagine, e poi trovare anche l’angolo, la luce, la composizione e la forma giusta, tutto in una frazione di secondo per poter catturare uno sguardo, un gesto, un movimento, così che noi comuni mortali nell’ammirare le loro fotografie restiamo stupiti e ci chiediamo come sia possibile che possano essere accadute situazioni così dense di significati.

“To me, photography is the simultaneous recognition, in a fraction of a second, of the significance of an event”.

FRANCE. Sunday on the banks of the River Marne. 1938 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

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