La fase due del governo Monti, stando alle sue linee programmatiche, dovrebbe riguardare la crescita dell’economia italiana, oggi in recessione tecnica, e con un debito pubblico in continua crescita. Finora è stato fatto poco o nulla in questa direzione: le liberalizzazioni e la stessa riforma del mercato del lavoro non sembrano in grado di generare un inversione di tendenza in quanto non produrranno di certo nel breve e nel medio periodo una crescita degli investimenti. L’unico volando della crescita potrebbe essere il settore delle infrastrutture, perchè soltanto lì si coniuga una sinergia tra pubblico e privato. Ma per il momento le grandi opere sono al palo. Qualche giorno fa sul quotidiano la Repubblica Ettore Livini ha proposto un’analisi drammatica che riproponiamo perchè indica che è sulla capacità di rianimare il malato che il ministro Corrado Passera e tutto il governo dovranno stupirci con i loro effetti speciali, come hanno promesso in sede europea. Ecco l’analisi fatta da Livini.
L ́Italia delle grandi opere è un cantiere fermo da vent ́anni. Nel ‘90 eravamo all ́avanguardia in Europa sul fronte autostradale e dell ́alta velocità Oggi siamo la Cenerentola. Il programma di infrastrutture strategiche varato in pompa magna nel 2004 è stato completato solo per il 9,9% e manca di più 200 miliardi di copertura finanziaria. Quasi metà delle scuole italiane manca d ́agibilità. La Tav e altri 330 cantieri sono bloccati da proteste e lungaggini burocratiche. Ed è di ieri il nuovo intervento del premier Monti: «Sull ́Alta velocità è arrivato il momento di fare un passo avanti, e realizzare l ́opera». Che fare? «Serve un decreto Sblocca-Italia», dice Giuseppe Roma direttore generale del Censis.
Negli ultimi vent ́anni la scarsa credibilità della politica e un federalismo a corrente alternata hanno aperto decine di contenziosi e resistenze che hanno dato un contributo decisivo a zavorrare il capitolo infrastrutture. I lavori contestati, calcola il Nimby Forum, sono ben 331. Perché si scende in piazza contro opere che spesso hanno valore d ́utilità collettiva? I sondaggi elaborati per il Censis danno risposte precise: nel 32,5 dei casi perché i politici non sono credibili, poi (18,2%) per la mancanza di risorse economiche, le lungaggini burocratiche (17,8%), l ́ostilità del territorio (13,1%), la mancanza di rigore tecnico (12,5%) e le caratteristiche strutturali del territorio (6,1%). Un cocktail che non solo blocca le opere pianificate, ma tiene pure sempre più lontani gli stranieri dal nostro paese.
L ́Italia della politica ha tagliato negli ultimi anni tanti nastri, aperto – tra telecamere e fanfare – centinaia di cantieri ma è riuscita a mandare in porto pochissime grandi (e pure piccole) opere. Il faraonico programma di infrastrutture varato nel 2004 si è gonfiato passando da 228 progetti a 390 con spese previste per 367 miliardi. Peccato che sia rimasto poco più di un libro dei sogni visto che ne è stato realizzato appena il 9,9% e che i fondi realmente a disposizione sono 150 miliardi. E delle 186 opere deliberate dal Cipe dal 2001, solo 30 sono state concluse. Non riusciamo nemmeno a star dietro all ́ordinaria amministrazione: quasi la metà delle strutture scolastiche manca d ́agibilità, il 9,8% degli impianti sportivi sono inagibili, mentre i nostri acquedotti perdono il 40% dell ́acqua che raccolgono alla sorgente.
Il risultato dello stallo sul fronte infrastrutturale è la pagella da pelle d ́oca rifilata all ́Italia dall ́ultimo Rapporto sulla competitività redatto dal World Economic Forum. Il Belpaese viaggia al 48esimo posto su 139 paesi, non malissimo anche se in coda a tutti quelli più sviluppati. Le note dolenti arrivano però proprio quando lo studio si concentra sullo stato di salute delle nostre grandi opere. Siamo al 73esimo posto per la qualità complessiva, all ́81esimo sul fronte degli aeroporti e al numero 81 per i porti. Non solo: al capitolo complessità della regolazione governativa siamo 133esimi, poco peggio del 122esimo posto che ci siamo conquistati (si fa per dire) al capitolo dell ́efficienza della soluzione dei contenzioni. Senza contare che l ́Italia sconta pure l ́ingombrante presenza della criminalità organizzata.
Dal 1990 al 2010 gli investimenti pubblici in Italia sono diminuiti del 35% a fronte di un aumento del Pil del 21,9%. Colpa di Tangentopoli, e dell ́esplosione del debito pubblico. Il Censis però mette sul banco degli imputati un altro fattore: la concorrenza strisciante per i pochi soldi disponibili tra le infrastrutture e il welfare. Negli ultimi 20 anni in effetti la spesa per prestazioni sociali è cresciuta del 397% a fronte di una popolazione ultra 65enne passata dal 15,1% al 20,3%. «Gli italiani hanno preferito dirottare risorse verso i trasferimenti agli individui piuttosto che a investimenti collettivi», spiega Giuseppe Roma. Un fenomeno confermato dalla forbice che si è aperta tra la spesa individuale per comprare case (tra 90 e 100 miliardi l ́anno) e i 6-8 miliardi stanziati ogni anno per sviluppare interventi su opere pubbliche.
La cartina di tornasole della Caporetto delle infrastrutture italiane è lo stato di salute della nostra rete di trasporti. Vent ́anni fa eravamo all ́avanguardia in Europa: contendevamo alla Francia il secondo gradino del podio per le autostrade ed eravamo saldamente secondi nella classifica per l ́alta velocità. Dal ́90 in poi, però, il resto del continente ha iniziato a correre, mentre Roma è rimasta al palo. La Francia ha allungato del 61,8% la sua rete, la Spagna del 171%, la Germania del 16,5%. Noi siamo fermi a un modestissimo +7%. Una paralisi fotografata con impietoso realismo dalla Salerno-Reggio Calabria, dove i lavori che avrebbero dovuto concludersi nel 2003. Stessa musica per l ́alta velocità. In due decenni la Germania ha posato quasi 1.200 km. di rotaie, la Francia 1.186, la Spagna 2.056. Noi siamo a 699.