Nel mirinoImpressioni dal confine: Sebastiano Tomada Piccolomini

Anti Bashar Al Assad Syrians gather in Beirut's Martyr Square to protest     Ho fatto qualche domanda a Sebastiano Tomada Piccolomini, (fotoreporter di cui vi avevo già parlato qui) in questo mome...

Anti Bashar Al Assad Syrians gather in Beirut’s Martyr Square to protest

Ho fatto qualche domanda a Sebastiano Tomada Piccolomini, (fotoreporter di cui vi avevo già parlato qui) in questo momento ai confini con la Syria.

Ci ha raccontato alcuni retroscena del suo mestiere.

– anni?

25.

– dove vivi?

New York.

– quando hai iniziato a fare reportage?

Ho iniziato a fare reportage quando sono andato ad Haiti per Doctors Without Borders.

– con che giornali collabori?

Collaboro con The Atlantic, Wall Street Journal, Readers Digest e altri piccoli newspapers.

– agenzia?

Freelance per Sipa Press ma sto per andare con Getty.

– dove sei oggi?

Oggi sono a Tripoli nel nord del Libano ma faccio spola con Beirut.

Syrian refugee family from Homs living in scarce conditions in Kalamoun outside of Tripoli, a northern town bordering Syria

– come ci si prepara a un viaggio?

Mi preparo per un viaggio con ben chiaro in mente di avere sempre un piano alternativo del piano alternativo.

– cosa porti con te?

Mi piace il numero 3, quindi di solito porto 3 di ogni cosa: 3 camicie, 3 calze, 3 macchine fotografiche, ecc..

Porto con me il minimo necessario, lo faccio per una questione di praticità, non c’e’ nulla di peggio di dover correre da una parte all’altra e sembrare un turista con 2 valigie. Il minimo necessario ti aiuta a non perdere tempo e a farti rimanere sano.

Anti Bashar Al Assad Syrian youth protest in Beirut’s Martyr Square

– che camera usi?

Uso una Canon 1d mark 4 una 5d mark 2 e una Fuji x100. Con me ho sempre la mia point and shoot Ricoh GR.

– cosa vorresti che raccontassero le tue foto?

Vorrei che le mie foto raccontassero lo stato dei fatti. Gli angoli meno ovvi di una storia, di un tema sono quelli che più mi interessano. Le foto riflettono molto lo stato d’animo di chi le fa, se non sono rilassato in una situazione o con i miei soggetti diventa più difficile documentare la verità. Bisogna essere al meglio del proprio equilibrio interiore per relazionarsi con gli altri. Se fossi nervoso o spaventato contaminerei i miei soggetti, attirerei la loro attenzione, e corromperei la realtà. Io non voglio questo, voglio la verità pura e inalterata, lo stile e la tecnica vengono dopo e si possono sempre imparare.

A anti Bashar Al Assad Syrian child joins his fellow citizen refugees in Beirut’s Martyr Square to protest

– che caratterisitiche deve avere una foto di reportage per essere considerata buona?

Credo che una foto sia “buona” quando non è studiata, quando arriva in modo naturale grazie alla conoscenza della situazione che stai vivendo, più una foto e’ studiata piu’ perde la sua dimensione emotiva.

Oggi una foto di reportage la puo scattare chiunque e in molte occasioni gli scatti più naturali e improvvisi sono anche quelli più concreti, reali. Il trend attuale vuole che ci sia uno stile nel reportage, un certo angolo, il giusto diaframma, la luce etc. questi stili vengono un pò dettati dai VIP del fotogiornalismo e noi comuni mortali cerchiamo troppo spesso di scattare “in stile”. Una foto di reportage buona e’ una foto che non e’ studiata, nè rubata, its a question of being there at the right moment and at the right time. Being there is half of the story.

Wounded Syrian activists who escaped from Baba Amr finds medical treatement in a Hospital outside of Tripoli in northern Lebanon

– mi racconti brevemente qual’è la tua percezione della situazione nell’area?

Il Libano non e’ stato particolarmente influenzato dall’Arab Spring. Beirut, come sai, super ricca, tende a non relazionarsi con le questioni estere. La situazione cambia via via salendo verso nord fino alla citta’ di Tripoli. La maggior parte della citta’ nordica risente della rivoluzione Siriana, molti cittadini sono pro Assad e molti sono i rifugiati che sono scappati da Homs, Hama e Qasir.

– parlami della Syria, hai provato a entrarci?

Più vai al nord e verso il confine di Whadi Khaled, piu la tensione aumenta, con infiniti checkpoint, forze di sicurezza.
Con un altro giornalista abbiamo attraversato il confine per andare ad Al Qasir (25 km a sud di Baba Amr) ma quelli che ci dovevano portare dentro alla citta’ hanno avuto notizie negative e siamo dovuti tornare indietro. Per continuare ci chiedevano delle cifre in dollari esorbitanti, sto parlando di 3000 dollari. Adesso mi sto riorganizzando per un altro tentativo, un po’ più sicuro e veloce.

A anti Assad protester gathers in Beirut’s Martyr Square

– mi parli anche dell’importanza dei fixer e dei giornalisti locali che vi aiutano, che anch’essi muoiono e di cui purtroppo si parla poco?

I fixer sono fondamentali ma i giornalisti locali tendono a evitare di condividere materiale con quelli occidentali. Senza un fixer sei praticamente inutile.
L’unico problema e’ che è difficile trovare qualcuno di cui potersi fidare al 100% e inoltre costano molto (100-200$ al giorno). I migliori sono solitamente talmente occupati che lavorano solo con grosse agenzie o news papers come Al Jazeera, BBC Arabic e CNN.

– Recentemente hai esposto delle foto agli UN sulla Libia me ne parli?

Si quelli della missione Libica alle Nazioni Unite mi hanno inivitato a esporre e parlare del mio lavoro durante la commemorazione dell’ inizio della rivoluzione in Libia.

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