Rispondendo (su «Sette», supplemento settimanale del Corriere della sera dell’8 marzo) a una lettrice, giustamente indignata per il comportamento della dinastia Frati alla Sapienza (ciò che ha fatto il giro del Paese, per la concomitanza di un ennesimo articolo di Stella sul medesimo giornale, e di un servizio di Mentana su La 7; il cordone sanitario attorno al personaggio potrebbe mostrare crepe profonde), Beppe Severgnini si dice speranzoso che il governo Monti, con Profumo e Ornaghi al suo interno (vale a dire tre ex rettori di atenei italiani giustamente stimati anche fuori dai confini patrî) vorrà fare qualcosa per levare dal volto del Paese una simile vergogna. La Sapienza è pur sempre un’università dove hanno insegnato e insegnano docenti noti in tutto il mondo. Tuttavia, scrive il giornalista, non è detto la speranza si possa concretizzare, poiché, sono parole sue, «l’università, come altri ambienti italiani, è abituata a considerare fisiologica la patologia».
Discutendo dei concorsi, che è il punctum dolens per eccellenza, Severgnini scrive che, quanto a lui, li eliminerebbe (con qualche distinguo, sono d’accordo), e che è nella «cooptazione mascherata da competizione» che si crea, con l’equivoco, il marciume. Conclude poi: «Conosco molti docenti universitari puliti e preparati, la cui frase preferita è “Non facciamo di tutta l’erba un fascio!”. Certo: ma se voi, erbe buone, state nello stesso fascio con le erbe cattive, finite per coprirle, no?». Bene, neppure questo è del tutto vero. Non sono stato certo solo, anzi, ma per quanto mi riguarda ho preso pubblicamente e a più riprese posizione contro Frati in una sede ufficiale come il Consiglio di Facoltà. E pochi giorni fa, subito dopo gli affondi di Stella e Mentana di cui ho detto sopra, ho parlato coi piani alti della Facoltà, per chiedere da parte nostra un gesto di dignità e coraggio. È vero che mi è stato risposto colla consueta strategia del silenzio, il che mette tristezza, perché una simile università è già morta e non lo sa (intanto però, della sua morte, fanno le spese i molti giovani, studenti e docenti, meritevoli). Ma il punto è proprio questo. I docenti universitarî che si ribellano ci sono, e sono più di quanto si creda. Solo che non fanno notizia.
A scanso di equivoci, e per non essere frainteso, ripeto quanto già detto in questa sede. Se non tiene all’onore (nel senso proprio e alto) della sua famiglia, Frati mostri almeno di tenere a quello dell’istituzione che rappresenta, e si dimetta. Sarebbe, ancorché in ritardo, un gesto nobile, che lo riabiliterebbe agli occhi di molti. Non credo solo ai miei.