Il problema fondamentale del liberalismo è che nessuno ha interesse ad essere liberale: non importa quanti argomenti abbiano i liberali, non c’è nessun gruppo di potere naturalmente liberale che abbia interesse a trasformare il liberalismo in una forza politica in grado di influenzare le scelte collettive.
Il motivo non è semplice da capire: bisogna considerare fenomeni politici, sociologici, filosofici che stanno dietro le innumerevoli sconfitte politiche del liberalismo.
Facciamo un esempio chiaro: sul piano argomentativo non c’è alcun dubbio su chi abbia ragione nel dibattito tra protezionismo e libero commercio, perché tutti quelli che conoscono l’argomento sanno che la scienza economica a riguardo ha già detto l’ultima parola a inizio ‘800, con la teoria dei vantaggi comparati di Ricaro. Il trionfo intellettuale è così completo che addirittura un socialista come Krugman, nel suo libro di testo di economia internazionale scritto insieme a Obsteld sostiene la superiorità del libero commercio sul protezionismo.
Nonostante ciò, il protezionismo è la norma. E i motivi sono più d’uno:
- La classe politica ha interesse al protezionismo perché i dazi sono una entrata per lo stato, di fatto una tassa sui consumatori (che soffrono peggio maggiorati), nascosta da tassa sui produttori stranieri. Inoltre i produttori nazionali protetti possono essere più docili e quindi più controllabili per i politici, che dunque acquisiscono maggiore potere sulla società.
- I produttori nazionali nel breve termine ci guadagnano perché possono fregare i consumatori nazionali con prezzi maggiorati, ma non appena la produzione nazionale sale, i profitti tornano a livelli normali e dunque il vantaggio è minimo. Ciò nonostante, i produttori spingono sempre al protezionismo per non avere concorrenza (almeno estera), possono fare profitti di lungo termine se si riduce anche la concorrenza interna (aiuta avere meno concorrenti e impedire l’accesso a nuovi), e comunque nel passaggio al libero mercato nel breve termine ci sarebbero per molti dei contraccolpi.
- I consumatori sono le vittime più importanti del protezionismo, ma in politica gli interessi diffusi e generali non hanno alcuna importanza, perché una lobby ben organizzata di produttori avrà sempre più mezzi di persuasione di consumatori sparsi che neanche si accorgono di venire fregati.
- La teoria del commercio internazionale è difficile da capire, e la maggior parte degli elettori non è semplicemente all’altezza di capirla, lasciandosi ingannare dai più semplici e intuitivi, anche se erronei, argomenti dei protezionisti. Il fatto è che in politica un argomento semplice ma falso ha sempre più chance di successo di un argomento vero ma difficile.
Mettendo assieme tutte queste cose, è evidente che di libero commercio ce ne sia poco. E questo nonostante alla lunga il protezionismo danneggi l’intera economia, riducendo l’efficienza.
Il fatto è che per sconfiggere i protezionisti non basta avere ragione: bisogna lottare contro i gruppi di potere che si avvantaggiano della protezione, e svegliare una massa di consumatori che non si accorge di venire danneggiata. Ma dato che i principali beneficiari alla fine sono i politici, è improbabile che si possa fare qualcosa a riguardo.
Qualcuno obietterà: e il WTO? Dopo un secolo di protezionismo, si è finalmente tornati a livelli di scambi internazionali globali simili a quelli del XIX secolo. Quindi capita che ogni tanto una politica intelligente venga adottata, anche se eccezionalmente. Nonostante ciò, di norma si fa di tutto per adottarla poco e controvoglia, introducendo distorsioni e contorsioni burocratiche. Ciononostante, ogni tanto la politica adotta anche politiche intelligenti, accompagnandole spesso con idiozie assortite.
Ne parlo su Libertiamo.
Pietro Monsurrò