Edoardo Nesi, Storia della mia gente, Bompiani, 2011
Sono piuttosto stupefatta che questo libro abbia vinto lo Strega 2011. Sarà che il tema degli effetti nefasti della globalizzazione sul sistema industriale italiano è attualissimo e scottante, sarà che la “narrativa del lavoro” è una rarità nel nostro paese, ma c’era da aspettarsi molto di più, specialmente da uno scrittore che ha al suo attivo ben altri sei romanzi.
Storia della mia gente è un libro scombinato. Non uso questo aggettivo a caso, perché siamo di fronte a un mix autobiografico anomalo. Spezzando più volte la narrazione principale, Nesi inserisce aspetti personali scollegati con il tema di fondo, e comunque di per sé poco interessanti – in particolare, l’amore, abbastanza scontato, per alcune grandi icone della cultura contemporanea americana nella letteratura, nella musica e nel cinema. Questa autoreferenzialità gratuita fa si che, in un libro già breve , la testimonianza del fallimento di un’intera generazione di giovani industriali perda di incisività.
“ Hanno avuto la bicicletta, ma non hanno saputo pedalare”. Questa è la conclusione che ho tratto leggendo di come, nel breve giro di un decennio, sia sparito il sistema del tessile a Prato. Conclusione che non penso sia quella cui avrebbe voluto indirizzarci l’autore, il quale, in realtà, appare incerto circa le motivazioni che hanno portato a tanta débacle. Punta il dito soprattutto contro la globalizzazione e contro politici ed economisti che l’hanno assecondata. Ma, con enfasi minore, ammette anche che i pratesi avrebbero dovuto adottare strategie e modelli di business diversi da quelli di sempre, ereditati dai nonni e dai padri.
Infine, per quando riguarda lo stile, Nesi farebbe bene a rivalutare le virtù della punteggiatura, anziché cercare di emulare il compianto Foster Wallace. Probabilmente imprenditori non si nasce, ma neanche scrittori.