“Siamo vicini a un altro corralito?”, si chiedono dallo scorso Lunedì gli argentini alla notizia di una nuova circolare del Banco Central, con un ennesimo avviso restrittivo. Questa volta la misura imposta dall’autorità monetaria argentina, che vigerà dal prossimo 3 Aprile, tra poco più di due settimane, obbligherà gli argentini che vorranno prelevare valuta locale all’estero con la loro carta di credito, ad aprire un apposito conto corrente in dollari statunitensi, o in Euro, in Argentina.
Nonostante in Argentina meno del 10% della popolazione disponga di una carta di credito, fino ad oggi chi viaggiava poteva ritirare dagli sportelli automatici moneta locale, dal proprio conto corrente in Pesos argentini. A quanto pare non sarà più così. Chi non possiede un conto corrente in dollari in Argentina, non potrà ritirare soldi all’estero. In Brasile, per esempio, gli argentini potranno prelevare Reales solamente se in Argentina avranno disposto un conto corrente in dollari statunitensi, che oggi è la moneta di riferimento.
Questa nuova circolare del Banco Central è una delle tante misure che il governo sta applicando per controllare il dollaro, ma se si pensa che da fine Ottobre, per comprare dollari statunitensi in Argentina è necessaria l’autorizzazione dell’Amministrazione Federale degli Ingressi Pubblici (AFIP), emessa in base al patrimonio dichiarato, la cosa si fa ancora più complicata. L’operazione non sempre va a buon fine e così molti si ritrovano a mani vuote. Così, il “corralito verde”, com’è già stato battezzato il fenomeno dell’acquisto di dollari in Argentina, sta diventando una vera e propria odissea.
Gli argentini un’altra volta si ritrovano ingabbiati nelle trappole del loro tanto amato paese. Del resto lo dice anche il nome: “corralito” , che è il diminutivo di “corral”, che significa recinto per animali.
E per quelli che già si trovano fuori dai confini nazionali, mi chiedo se si vedranno costretti a rientrare in patria entro due settimane per sistemare la faccenda.
Nel frattempo, chi riesce a comprare dollari e ha la fortuna di poter viaggiare, si affretta a farlo.
Se a questo si aggiunge che per le severe misure protezionistiche in materia d’importazione nel paese sta cominciando a rendersi difficoltoso il reperimento di un numero sempre più amplio di prodotti quotidiani, si capisce come mai all’aeroporto di Buenos Aires nelle ultime settimane, gli argentini tornano con valigie stracolme di beni per ogni tipo di necessità. Memori di un passato non tanto remoto, torna la fobia per la mancanza di prodotti: quelli già spariti dalla circolazione potrebbero tardare anni a ricomparire, mentre quelli locali già hanno subito variazioni di prezzo ingiustificate.
Intanto, la pressione fatta dal ministro del commercio Guillermo Moreno, contro le società di consulenza che diffondono statistiche sull’inflazione non coincidenti con quelle dichiarate dal governo, ha fatto si che il Fondo Monetario Internazionale chiudesse ieri i suoi uffici nel Paese. Certamente non è un segnale dei più rassicuranti. Secondo il quotidiano La Nación, dalla fine di questo mese il FMI avrà nel paese un solo economista per seguire da vicino l’evoluzione degli enigmatici numeri locali. Preoccupante, per esempio il fatto che proprio in questi giorni l’Indec (Istituto Nazionale di Statistica e Censo) ha dichiarato che l’inflazione in Febbraio è aumentata solo dello 0,7%, al di sotto di tutte le previsioni degli analisti privati, e tangibilmente percepibile nella vita quotidiana del paese.
“Que se vayan todos (che se ne vadano tutti)” urlavano esasperati gli argentini durante i loro “cacerolazos” nel 2001, sbattendo furiosamente i mestoli contro pentole e coperchi. Oggi, davanti a quest’ennesima limitazione delle loro libertà, l’impressione è che presto gli argentini potrebbero gridare lo stesso slogan, aggiungendo l’ aggettivo femminile “tutte” facendo diretto riferimento alla “presidenta”:“Que se vayan todos y todas”!