Papale papaleSe Ratzinger non è ratzingeriano

Un effetto sicuro, ancorché non automatico, delle recenti fughe di notizie dai palazzi vaticani, ribattezzate Vatileaks, è che, ora, si parla apertamente di dimissioni del papa. Lungi da me pensare...

Un effetto sicuro, ancorché non automatico, delle recenti fughe di notizie dai palazzi vaticani, ribattezzate Vatileaks, è che, ora, si parla apertamente di dimissioni del papa. Lungi da me pensare che parlarne sia inopportuno. Non tanto perché proprio su questo irrilevante blog ho scritto della salute del papa, e delle sue implicazioni, prima ancora che i documenti riservati vaticani finissero sui giornali, quanto perché lo stesso Benedetto XVI non ha escluso un “gran rifiuto” in un ormai arcinoto passaggio di Luce del mondo. Quel che colpisce, ora, è che a ipotizzare, quasi a caldeggiare, le dimissioni di Ratzinger sono alcuni ratzingeriani della prim’ora.

Giuliano Ferrara, sul Foglio, ha parlato del “gesto sovrano e papocentrico delle dimissioni” con il quale Benedetto XVI rilancerebbe le idee del suo Pontificato. Antonio Socci, su Libero, ha aggiunto che, dimettendosi, Ratzinger tornerebbe a ricoprire la carica di decano del collegio cardinalizio, e si troverebbe così a “orientare assai autorevolmente la scelta del suo successore”.

Fu proprio Socci a rilanciare per primo, sempre su Libero, l’idea di dimissioni tracciata dal papa nel libro-intervista con Peter Seewald. Era il 25 settembre scorso, due giorni prima Benedetto XVI, in partenza per la Germania, aveva inviato a Giorgio Napolitano un telegramma nel quale auspicava “un sempre più intenso rinnovamento etico per il bene della diletta Italia”. Il messaggio fu interpretato, con l’avallo del Vaticano, come l’estrema unzione di un berlusconismo pericolante per gli scandali delle notti ardenti di Arcore. Il successivo 16 novembre Silvio Berlusconi rassegnò le dimissioni nelle mani di Napolitano. Ora sarebbe ridicolo pensare che i giornali vicini all’ex premier usassero la storia delle dimissioni del papa, mesi fa, come un avvertimento o la usino, oggi, come una vendetta per le dimissioni di Berlusconi. Troppo autorevoli, Ferrara e Socci, e troppo autonomi per un giochino del genere. Basta leggere i loro articoli per capire che il loro ragionamento è di altra natura. La caduta di Berlusconi, però, ha fatto emergere una scollatura all’interno del mondo ecclesiale, che forse oggi si riverbera anche sulle pagine dei giornali. Vescovi e cardinali legati per anni al Cavaliere erano gli stessi che nei primi anni del Pontificato tifavano per Ratzinger. Poi qualcosa è cambiato. Forse non avrebbero mollato Berlusconi come ha fatto il Vaticano di Ratzinger. Sicuramente il loro entusiasmo per Benedetto XVI è scemato nel corso del tempo. Puntavano su un pontefice-teologo, modernissimo perché tradizionalista, contro-culturale, intellettuale a costo di provocazioni e incomprensioni su temi scomodi come l’islam o l’aborto. E hanno scoperto, con gli anni, un papa-pastore, pronto a confessioni umili come quella di Luce del mondo, integerrimo ma non per questo intransigente, fermamente convinto che lo scandalo della pedofilia non vada minimizzato né accollato ad un complotto anti-cattolico, incline a nomine più dettate dalla sintonia personale che da quella ideale, nemico degli eretici, ma anche dei faccendieri. Forse Benedetto XVI non è più il campione di chi nel 2005 lo elesse, e oggi è diventato impaziente per la sua successione. Forse il papa ha amici e nemici diversi da quelli che si pensava. Forse Ratzinger non è ratzingeriano.

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